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Scultore

Achille D’orsi


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Achille D’orsi

( Napoli 1845 - 1929 )

Scultore

    Achille D’orsi

    Achille D’Orsi nasce a Napoli nel 1845 e a soli dodici anni si iscrive al Reale Istituto di Belle Arti della città partenopea. Qui frequenta il corso di scultura diretto da Tito Angelini, scultore tradizionalista, ma aperto alle nuove tendenze veriste diffusesi in quegli anni a Napoli. 

    Il suo esordio espositivo risale al 1863 alla Promotrice di Napoli con la terracotta Un garibaldino ferito, dal soggetto ancora romantico, ma realistico nella rappresentazione, senza allusioni mitizzanti. 

    Il fascino dei soggetti popolari 

    La prima attività espositiva è legata alle Promotrici di Napoli: nel 1864 partecipa con Un pescatore; nel 1871 è presente con Monumento a Salvator Rosa e Don Basilio; e nel 1872 vi prende parte con La Beghina. Sono per lo più lavori di piccolo formato che rappresentano soggetti di vita quotidiana, realizzando personaggi che diventeranno poi popolari nella scultura di genere.

    Il Salvator Rosa invece è eseguito in terracotta a grandezza naturale, come modello da erigere in una piazza. Questo lavoro sarà motivo di grande amarezza per lo scultore, perché ne attende per tutta la vita la realizzazione, che avverrà solo quattro anni dopo la sua morte. Oggi l’opera è collocata in piazza F. Muzji al Vomero.

    Nello stesso anno vince il pensionato di Belle Arti a Roma, e si trasferisce nella capitale per affinare la sua formazione artistica.

    Una materia difforme per un realismo profondo

    Durante gli anni Settanta vira il suo stile sempre più al realismo, in linea con la pittura di Morelli o Michetti, prediligendo una materia irregolare, alla superficie levigata di impianto romantico e purista. L’artista inoltre esalta le qualità cromatiche della massa scultorea accentuando i contrasti di luce.

    Nel 1877 partecipa alla Promotrice di Napoli con otto lavori tra cui Un venditore, Ritratto del professore Tommasi, Il chierico e I parassiti, celebre gesso bronzato rappresentante due antichi romani riversi su un triclino, abbrutiti dal vino e dal cibo. Lo scultore richiama il mondo antico, sull’onda dei ritrovamenti archeologici di Pompei ed Ercolano, ma la citazione diviene solo un pretesto per una rappresentazione etica e moraleggiante. L’opera viene accolta dalla critica in modo contrastante, chi rimane sorpreso positivamente dal forte realismo del soggetto; chi resta scandalizzato dalla rozzezza e dalla brutalità delle figure. La scultura viene esposta l’anno seguente a Parigi, e anche nella città francese il lavoro non passa inosservato.

    Tra verismo sociale, ritratti e monumenti pubblici

    L’artista diffonde il realismo in Italia, soprattutto a Milano, tanto da venir considerato uno degli iniziatori del verismo lombardo. Nel 1878 espone a Genova Il chierico coscritto e l’anno seguente a Torino presenta Un carrettiere. Nel 1880 sempre a Torino partecipa con A posillipo, statuetta acquistata da Umberto I, e Proximus tuus, la figura di uno zappatore distrutto dalla fatica che diviene emblema delle vite umili. Quest’opera infatti lo rende uno degli esponenti del verismo sociale.

    Nel 1884 presenta all’Esposizione di Torino A frisio, una rivisitazione del tema folcloristico dello scugnizzo napoletano assorto in un contesto di vita quotidiana. Fin dalla gioventù, la vita, il percorso artistico e la produzione di Achille D’Orsi si intrecciano con quella dello scultore conterraneo Vincenzo Gemito, visibile soprattutto nella scelta delle tematiche. 

    In seguito l’artista realizza diversi soggetti più tradizionali e ritratti come Mario Pagano presentato insieme a due Ritratti all’Esposizione di Napoli del 1892 e Busto di Salvatore Tommasi esposto alla Biennale di Venezia nel 1910.

    A Napoli si occupa inoltre di alcune opere monumentali come la statua di Alfonso d’Aragona per la facciata del Palazzo Reale; i due frontoni laterali per il Palazzo dell’Università, e il Monumento a Umberto I posto in Via Nazario Sauro. Quest’ultimo viene inaugurato in occasione del cinquantenario dell’Unità di Italia, ma viene considerato uno dei lavori meno riusciti dello scultore, per l’estremo realismo che sfocia in un risultato quasi caricaturale.

    Nonostante i numerosi successi e riconoscimenti avuti in vita, l’artista trascorre gli ultimi anni avversato da problemi economici, e a causa della situazione di povertà, alla morte, avvenuta nel 1929, i funerali vengono celebrati a spese del Comune.

    Emanuela Di Vivona

     

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