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Pittore
Domenico Morelli
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Domenico Morelli
Chiave imprescindibile per penetrare la facies di “pittore filosofo” del pittore D. Morelli è l’importanza che la formazione accademica ebbe su di lui, spesso sminuita dal ruolo di innovatore rivestito dall’artista: pur nella diversità di modi e di forme rimarrà “pittore storico”, il genere più alto e nobile, innescando all’interno stesso della “storia” una rivoluzione decisiva, attuata miscelando le mai sconfessate suggestioni palizziane – presto personalizzate da una tecnica colta e ingentilita dallo studio dei maestri francesi, da Paul Delaroche ad Auguste Gendron – e riflessioni sulle fonti letterarie di rara intensità.
Illuminante in questo senso il carteggio con Pasquale Villari, che ci restituisce tutto il fervore intellettuale, di matrice prettamente romantica, del processo creativo morelliano1. Il carteggio testimonia gli infiniti dubbi, le affannose ricerche sui libri, la genesi dei numerosi bozzetti e delle clamorose invenzioni che nella loro novità annullavano fonti e modelli.
Aspetto questo ben inteso dai contemporanei più attenti: Morelli non improvvisa. Ogni sua opera è un viaggio mentale. Quando fa un quadro, egli si mette in cammino dietro ad una idea; la segue piano piano, la esamina, la sviluppa, la completa. Quando è arrivato all’espressione pittoresca, quando possiede il quadro, questo vien su tutto d’un pezzo, che par fatto in un giorno.
Ma tutto quello che c’è, è pensato e voluto. Non credo che vi sia un solo suo quadro, che sia l’effetto d’una combinazione. Ed è così che ogni sua opera è un’opera diversa, e profondamente sentita. Dunque nascono da tale peculiarità di artista-intellettuale i rapporti di amicizia anteposti senza esitazioni agli affari – “Mais vous tenez peu aux succès, vous êtes le plus modeste des artistes que j’ai jamais rencontré depuis cinquante ans que je vis au milieu d’eux” gli scriveva un Goupil in verità anche un po’ esasperato – e la costante ricerca della documentazione per ottenere un “ambiente storico” veritiero per il quadro.
Documenti quali libri, foto, anche solo oggetti, che spesso utilizzava per ricostruire nella mente un oriente mai visitato, e che mai volle visitare. Sino a giungere all’astio per le “répétitions” delle sue opere, poiché “Toujours la même peinture, pour un artiste, c’est de la machine”, e alle note difficoltà con cui si separava dalle opere di cui era continuamente insoddisfatto – “ogni mio quadro deve lasciarmi qualche rimorso” – che ricordano i medesimi atteggiamenti di un’artista introverso quale fu il francese Edgar Degas.
Conseguente a queste premesse la sua straordinaria capacità di rinnovare le iconografie più consuete nel tentativo di donare una nuova tensione emotiva alle sue fonti e di raggiungere la dignità di quei “pensieri da letterato” di cui mai saprà fare a meno.
Un Morelli, dunque, mai uguale a se stesso – “j’espère de marcher toujours en avant” scriveva – prolifico e superbo “inventore” di composizioni, atteggiamenti e personaggi sempre differenti, utilizzati per rappresentare le ben note figure e cose, non viste, ma immaginate e vere ad un tempo.
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