(Sutri (Viterbo) 1816 - Frascati (Roma) 1879)
Dittico “Le Grida del Fuoco”; “Le Voci del Torrente”, 1865-71 ca.
Misure: cm 128 x 60 ciascuno
Tecnica: Olio su tela
Firmati in basso sulla base delle cornici
provenienza: Marchese Corsi Salviati; Roma, collezione privata
Le due tele montate su supporto ligneo in esame sono chiaramente da ascrivere ad Eugenio Agneni (Sutri, 1816 – Roma,
1879), paradigmatica figura di pittore italiano degli anni risorgimentali che ad una fortunata e continua attività artistica
di respiro internazionale ha accostato un’intensa attività politica e militare, intrapresa questa a partire dall’effervescenze
romane seguite all’elezione di Pio IX fino alla spedizione di Mentana e poi nei primi anni di Roma capitale, periodo in
cui egli ricopre varie cariche amministrative.
La chiarezza attributiva delle opere deriva non solo dalla grande iscrizione
centrale inserita nell’elaborato impianto scenico di sapore neogotico che racchiude le due opere in un dittico, ma anche
dalla parentela diretta che lega queste al ciclo di affreschi eseguito fra il 1865 ed il 1868 per il Marchese Antonio Maria
Corsi Salviati nella salone di rappresentanza della villa familiare a Sesto Fiorentino. Agneni risiede pressoché stabilmente
nell’area fiorentina fra il 1863 e il 1871 dopo una fase di peregrinazioni di respiro europeo inauguratesi al termine
dell’esperienza repubblicana romana del 1849, nella quale egli fu coinvolto al punto da doversi nascondere per vario
tempo a partire dal luglio di quell’anno proprio presso il Marchese Salviati, che quindi già conosceva prima del successivo
trasferimento a Firenze. La necessità di stare lontano dall’Italia, nonché le connessioni con gli esuli mazziniani ed
evidentemente anche una conclamata abilità nel sapersi reinventare in ambiti culturali differenti hanno permesso ad
Agneni di frequentare con profitto le scene artistiche di Londra e Parigi, città nelle quali visse e lavorò ottenendo commissioni
di assoluto rilievo (ha decorato alcune sale di Buckingham Palace, della Covent Garden Opera e del Louvre), e
presentando i propri lavori presso la Royal Academy di Londra. Se dunque dobbiamo tenere fede alle constatazioni dell’amico
Luigi Calamatta (“sei pieno di soldi”) e alla frequenza con cui Giuseppe Mazzini chiedeva all’Agneni di contribuire
finanziariamente alle attività della Giovane Italia o ad altre iniziative affini, acquista maggiore sostanza la notizia
registrata da Martina Salza per la quale l’esecuzione delle opere di Sesto Fiorentino sia stata finanziata dall’artista stesso
come tributo di amicizia verso il Marchese Corsi Salviati. Dell’articolata iconografia complessiva, che include riferimenti
alle “Ore”, ad “Iride”, al “Giorno, alla “Notte” e ai segni zodiacali, il dittico ad olio richiama i quattro affreschi
sulle pareti longitudinali dedicati agli elementi e in particolar modo “Fuoco” e “Acqua”, lasciando dunque spazio per
supporre che possa esistere un secondo dittico dedicato ad “Aria” e “Terra”. La sfortunata dispersione di numerose e
potenzialmente determinanti sezioni dell’Archivio Guicciardini Corsi Salviati in deposito presso l’Archivio di Stato di
Firenze non permette purtroppo di ricostruire informazioni vincolanti sul ciclo di affreschi, sul dittico e sul valore da attribuire
ai due componimenti ecfrastici riportati sulla tela e firmati dallo stesso Agneni. Il fatto che in entrambi si richiami
la complessa sfida del pittore nel dovere raffigurare le pulsioni contrastanti degli impeti naturali, sembra ad ogni
modo consonante con la particolarità della commissione Corsi Salviati che, come detto, è stata largamente finanziata
dallo stesso pittore e, presumibilmente, con una forte impronta anche per quanto riguarda il piano tematico-strutturale.
Esiste ad esempio la possibilità che il dittico rappresenti una sorta di sintesi privata degli affreschi, una suggestione suggerita
dall’evidente processo di emendazione erotica apportato all’iconografia nella versione monumentale. Si notino in
tal senso la presenza delle due ninfee nude e sdraiate cima alla cascata e in basso nel ruscello (questa sostituita da una
rondine) nella tela “Le Voci del Torrente”, nonché il trasposizione di genere della figura che squarcia la terra in “Le
Grida del Fuoco”, ed infine la frequente copertura dei seni operata con espedienti vari in entrambe le scene degli affreschi.
Di più solida tangibilità appare invece la vivace duttilità espressiva qui messa in mostra dell’Agneni, riemersa in queste
opere grazie ad un sapiente restauro che restituisce agli studi un saggio di rara valenza per quanto riguarda questa specifica
fase stilistica di un’artista che, per quanto poco conosciuto e studiato, ha di fatto attraversato con riconosciuto carisma
una porzione sostanziale delle arterie culturali e politiche della sua epoca. Convergono sulle due tele l’intensa fase
formativa accademica romana quanto lo smaliziato intuito del conoscitore della regola che è entrato in contatto con innovazioni
linguistiche anche forti ma che sa restituire in una traduzione adatta ad un pubblico meno aggiornato. In questa
sovrapposizione fra il candore minardiano delle anatomie e una voluttà espressiva generale che può ricordare tanto
le fasi più mature del romanticismo accademico francese quanto una certa verve cromatica pre-raffaellita, l’Agneni testimonia
efficacemente una duttilità linguistica che riconosciamo nelle stesse liriche che accompagnano il dittico: “Cercando
le forme dell’acqueo elemento \ Fra vivi colori l’artista ha un concerto \ Finche la mano che s’agita e crea \ Risponde
al concerto l’immagin trovò” [da “Le Voci del Torrente”].