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Pittore
Gino Severini
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Gino Severini
Gino Severini si trasferisce dalla Toscana a Roma nel 1899, dove conosce Umberto Boccioni e inizia a frequentare con lui lo studio di Giacomo Balla, appena rientrato da Parigi. Apprende da lui la tecnica divisionista, ma desideroso di aggiornarsi alle istanze europee, nel 1906 si trasferisce a Parigi.
Si lega ben presto a Modigliani, Picasso, Gris e Jacob e frequenta il caffè culturale Closeries de Lilas di Paul Fort. Di lì a poco ne sposerà la figlia, consolidando ancora di più il rapporto con il poeta che, tra l’altro lo spinge verso l’avanguardia futurista. Firma, infatti, il Manifesto della pittura futurista nel 1910, anche se risulta più affine al Futurismo francese che a quello italiano.
Nel 1912 prende parte alla mostra futurista alla Galleria Bernheim-Jeune, ma è anche fortemente influenzato dal cubismo picassiano, di cui apprezza l’intento geometrizzante e l’affidamento a regole matematiche universali, elementi che col tempo diventeranno le sue cifre caratteristiche.
Durante gli anni della guerra si lega al matematico Raoul Bricard che lo introduce alla filosofia pitagorica e ad uno ordine scientifico che tende ad applicare alle sue composizioni dedicate alla guerra, come Il 14 luglio o Sintesi plastica della guerra. Ma inizia anche il cammino verso quel ritorno al classicismo che caratterizzerà gli anni Venti.
È del 1916 il segnale di questo radicale cambiamento verso il ritorno all’ordine: il dipinto Maternità rappresenta un netto richiamo al classicismo italiano, ma anche un evidente equilibrio formale e la presenza di regole geometriche ben precise. Non è un caso che, pochi anni dopo, si leghi agli artisti che si raccolgono attorno alle idee di “Valori Plastici”, facendosi interprete di un ritorno all’ordine del tutto personale.
Nel 1919 arriva il prestigioso contratto con Léonce Rosenberg, gallerista che lo fa esporre presso l’Effort Moderne e che lo introduce agli Stiwell nel 1921, quando lo incaricano di decorare il salotto del loro castello a Montegufoni in Toscana. Allo stesso anno risale la pubblicazione del testo Du Cubisme au Classicisme, in cui auspica il ritorno ad un realismo di matrice classicista che recuperi la sapienza dei maestri antichi, nell’osservazione di leggi auree e matematiche.
Regole che si applicano pienamente negli affreschi del castello, in cui i personaggi della commedia dell’arte vengono trattati con modernità, ma allo stesso tempo con un vigore plastico tutto rinascimentale, che si rifà soprattutto ai corpi di Luca Signorelli, cortonese come Severini. Una purezza formale di solida cultura quattrocentesca caratterizza tutti gli anni Venti, quando partecipa alle mostre di Novecento di Sarfatti e inizia a dedicarsi alla realizzazione di tele e affreschi di carattere sacro per chiese svizzere e francesi.
Alla Biennale del 1930 espone quattordici opere, tra cui Paesaggio e natura morta, Colazione sulla terrazza, I quattro Evangelisti per la chiesa di Senzales – Svizzera, Danze spagnole e morene e Danzatrice bleu. Alla Quadriennale di Roma del 1931, invece, presenta Gruppo di cose vicine e lontane, dipinto dai forti richiami all’antico, individuabili anche in Natura morta e I due pulcinelli, presentati alla Biennale del 1932.
Dopo la grande personale dedicatagli alla Quadriennale romana del 1935, Severini si occupa soprattutto di pittura murale, attenendosi sempre di più alla chiarezza e all’equilibrio del Quattrocento, senza mai abbandonare quella volumetria e quel misterioso spazialismo moderno che invade tutte le sue opere. Nel 1933 decora a mosaico la Sala del Ricevimento nel Palazzo della Triennale a Milano e pochi anni dopo l’abside della chiesa di Nôtre Dame a Losanna.
Infine, tra il 1945 e il 1946 esegue i cartoni della Via Crucisper un mosaico da destinare a Cortona. Continua instancabilmente la sua attività per tutti gli anni Cinquanta, anche nel campo della scenografia teatrale, fino a giungere alla grande antologica a lui dedicata in Palazzo Venezia a Roma. Tornato a Parigi, vi muore nel 1966.
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