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Scultore

Giovanni Maria Benzoni


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Giovanni Maria Benzoni

( Songavazzo 1809 - Roma 1873 )

Scultore

    Giovanni Maria Benzoni

    Giovanni Maria Benzoni, nato a Songavazzo nella provincia di Bergamo nel 1809, da una famiglia di umili condizioni, inizia a mostrare attitudine verso la scultura in giovane età, quando diventa apprendista nella bottega dello zio falegname a Riva di Solto, dove studia la tecnica dell’intaglio e realizza i primi modelli in legno, tra un Crocifisso con Maria Maddalena.

    Notato prima da Giuseppe Fontana e poi dal conte Luigi Tadini di Crema, che diventerà suo protettore e mecenate, viene incoraggiato ad iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Lovere. È proprio qui che inizia a ricevere i primi riconoscimenti per le sue sculture in gesso, legno e marmo di gusto neoclassico. Tra di esse, la Primavera, l’Inverno, la copia del Trionfo dell’Agricoltura di Canova e il suo primo bassorilievo in marmo del Marte dormiente.

    Il classicismo a Roma

    Nel 1828, il giovane scultore compie un soggiorno di studio a Roma sempre grazie al sostegno finanziario del conte Tadini. Frequenta l’Accademia di San Luca, dove in realtà non verrà mai ammesso ufficialmente. Tra le prime opere romane esegue l’Amore silenzioso, scultura che gli permette di farsi notare da collezionisti e committenti dell’aristocrazia del tempo: dagli anni Trenta, in poi, il suo studio è continuamente invaso da senatori, deputati, legati di altri paesi che lo incaricano di realizzare allegorie, soggetti sacri, mitologici e letterari, piccole opere decorative, ma anche e soprattutto busti, statue celebrative e funerarie. Gradualmente, Giovanni Maria Benzoni diviene dunque uno dei maggiori scultori dell’accademismo romano, erede del linguaggio di Antonio Canova (1757-1822).

    Apre uno studio in via sant’Isidoro, dove inizia la sua incessante attività, sostenuto dall’aiuto di circa cinquanta apprendisti, in una vera e propria “industria” della scultura classicista. Conosciuto da tutti i collezionisti e i committenti più importanti di ambito romano con il soprannome di “novello Canova”, riceve attenzioni anche dal principe Alessandro Torlonia, che gli commissiona diverse opere nel 1836, tra cui La musa Euterpe. Data la quantità di incarichi, Benzoni è addirittura costretto a trasferirsi in uno studio più grande, prima in via del Borghetto, poi in via del Babuino e infine in Piazza del Popolo. La sua fama raggiunge ben presto anche l’Inghilterra, la Francia e l’Olanda, dove ha modo di esporre nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta.

    Risale al 1846 uno dei suoi gruppi più famosi, l’Amore e Psiche commissionato da Antonio Bisleri di Milano e caratterizzato da grazia e morbidezza delle carni, in una elegante danza che coinvolge i due amanti e che ha tutto il sapore dell’arte classica e purista. Ancora al quarto decennio sono databili Pentesilea che spira tra le braccia di Achille, Amore insidioso e Innocenza difesa dalla fedeltà. Mentre agli anni Cinquanta e Sessanta risalgono Eva, Diana, Amor materno, La danza di Zefiro e Flora e una serie di monumenti funerari e celebrativi tra cui Monumento al Cardinale Angelo Mai e il Monumento al Conte Luigi Tadini, suo mecenate, per Lovere.

    Molto proficui sono i rapporti dello scultore con il Pontificio Collegio Irlandese per cui esegue il Monumento funebre a Daniel O’Connell nel 1855, nato dal contatto e dall’amicizia con lo scultore irlandese John Hogan. Altra tappa importante per Giovanni Maria Benzoni è la visita al suo atelier da parte di Papa Pio IX nel 1857, evento che gli procura la commissione del pannello con l’Incoronazione della Vergine per la colonna dell’Immacolata Concezione a Roma. Mentre nelle opere ufficiali e di grandi dimensioni sembra aderire perfettamente al linguaggio canoviano, nelle opere private e di minore grandezza, si abbandona a composizioni intime e dal linguaggio più libero da accademismi e legato all’osservazione del vero. Tra le ultime opere realizzate poco prima di morire vi è l’Ettore e Andromaca del 1871, in cui l’artista sembra cedere ad un naturalismo sempre più accentuato, ormai lontano dalle rigide istanze accademiche e neoclassiche.

    Ancora nel pieno della fama, muore a Roma nel 1873, a sessantaquattro anni. Viene sepolto al Verano, in un monumento funebre da lui stesso progettato.

    In fuga da Pompei

    In fuga da Pompei, opera tarda di Giovanni Maria Benzoni, eseguita nel 1868, è conosciuta anche con il titolo I pompeiani o Gli ultimi giorni di Pompei. Il gruppo scultoreo originario – di cui poi ha eseguito almeno tre repliche – è stato realizzato per la signora Marietta Reed Stevens, collezionista e filantropa, moglie di Paran Stevens, uno dei proprietari di immobili e di hotel più in vista nella New York della seconda metà dell’Ottocento. La loro prestigiosa collezione d’arte europea era ospitata in uno dei palazzi più eleganti di Manhattan, il cosiddetto Marble Row (poi abbattuto), tra la 5th Avenue e la 57th Street, abitato da Mrs Marietta Stevens a partire dal 1891. In fuga da Pompei svettava tra altre sculture nella vasta galleria del secondo piano ed era stata commissionata a Giovanni Maria Benzoni che, ormai celebre in tutt’Europa, aveva fatto giungere la sua fama anche oltreoceano.

    Dopo aver visitato Napoli e Pompei tra gli anni Cinquanta e Sessanta, lo scultore non solo era rimasto colpito dagli scavi archeologici, ma anche dalla potenza devastatrice del Vesuvio. Nella scultura, infatti, rappresenta una famiglia che fugge dal suo doloroso destino, con il personaggio maschile che cerca di proteggere sua moglie e suo figlio tirando energicamente sopra di sé un mantello, mentre la donna copre istintivamente con la mano il neonato tra le sue braccia, per ripararlo dai lapilli.

    Il bozzetto in terracotta preannuncia il dinamismo della scultura finita e soprattutto l’indirizzo di mite e delicato verismo che Benzoni intraprende verso la sua ultima parte di carriera. Rispetto al gruppo finito, nel modello è necessario evidenziare alcune particolarità che lo rendono davvero unico: non solo i gesti e i volti disperati e spaventati della coppia (che in parte si attenuano nella scultura in marmo, sciogliendosi in una sorta di pathos contenuto), ma anche i panneggi mossi e, soprattutto, i lapilli che si depositano sul terreno e sulle figure, alcuni eseguiti a rilievo, altri dipinti con una tonalità più scura della terracotta, tecnica davvero inconsueta che dona un effetto decisamente fresco e realistico al bozzetto.

    Altro segnale di questa tendenza alla ricerca del vero, sono gli oggetti che si intravedono ai piedi delle due figure e che nella scultura finita rimangono più arretrati e meno visibili: un’anfora, una fiaccola e due pagnotte di pane di farro, reperti sicuramente studiati dallo scultore presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, quando ancora era conosciuto con il nome di Real Museo Borbonico. Inoltre, il dinamismo della composizione, la fuga dalle fiamme, la scelta delle tre figure che scappano trovano il loro modello nell’iconografia antica di Enea che porta suo padre Anchise sulle spalle e il figlio Ascanio via dalle fiamme dell’incendio di Troia. Certamente Benzoni aveva visto il gruppo di Gian Lorenzo Bernini nella collezione Borghese, ma anche la rappresentazione della stessa scena nell’Incendio di borgo di Raffaello delle Stanze Vaticane, di cui lo scultore bergamasco sembra aver citato la stessa posizione delle gambe divaricate e del panneggio che copre il ventre dell’uomo, nella concitazione della fuga.

    Elena Lago

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