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Pittore

Giulio Aristide Sartorio


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Giulio Aristide Sartorio

( Roma 1860 - 1932 )

Pittore

    Giulio Aristide Sartorio

    Quotazioni Giulio Aristide Sartorio

    I pastelli dedicati alla campagna romana hanno una valutazione tra i 2.000 euro e i 4.000 euro circa.

    I dipinti della maturità di buona dimensione, spesso olio su tela incollata su cartone, sono quotati in media tra i 10.000 euro e i 30.000 euro.

    Meno ricercati i soggetti della campagna romana e quelli di guerra; più apprezzati i dipinti di viaggio, simbolisti e del periodo di Fregene che possono agevolmente superare i 40.000 euro. La carriera di questo artista è stata molto lunga: contattate la Galleria Berardi per una quotazione esatta. La Galleria Berardi è leader in Italia per la compravendita di opere del pittore Giulio Aristide Sartorio.

    Biografia

    Giulio Aristide Sartorio figura tra gli artisti più importanti in Italia tra Ottocento e Novecento, soprattutto per la vocazione internazionale della sua ricca produzione. È stato tra i principali artefici della diffusione della cultura preraffaellita a Roma nella stagione simbolista, ma anche protagonista della codificazione del linguaggio celebrativo e ufficiale nella decorazione pubblica della Nuova Italia del primo Novecento. Artista dal multiforme ingegno, è stato raffinato interprete della pittura animalier, ma anche del reportage di guerra, del paesaggio della campagna romana e dei luoghi visitati nei suoi numerosi viaggi in Oriente e in America latina. Ha saputo raggiungere il culmine della sua espressione negli ultimi anni di attività, condotti tra incarichi ufficiali e un linguaggio più intimo elaborato nel cosiddetto “ciclo di Fregene”, dove protagonisti della sua finale e somma pittura sono gli effetti di luce e, gli affetti familiari.

    Nasce a Roma nel 1860 e viene introdotto all’arte dal nonno Girolamo e dal padre Raffaele, entrambi scultori. Nel 1876 inizia a frequentare l’Istituto di Belle Arti sotto la guida di Francesco Podesti (1800-1895), ma sono anche gli anni cui a Roma imperversa la moda neo settecentesca della pittura di genere di Mariano Fortuny (1838-1874). Il suo seguace Luis Alvarez Català (1836-1901) accoglie il giovane Sartorio come allievo nel suo studio romano in via della Purificazione. Il successo giunge rapido, soprattutto attraverso la creazione di scenette aneddotiche particolarmente à la mode e gradite al mercato.

    Nel 1883, esordisce con il dipinto Malaria (Dum Romae consulitur morbus imperat) all’Esposizione Internazionale di Belle Arti di Roma. I drammatici toni dell’opera, ispirata al realismo seicentesco, colpiscono la critica. L’anno successivo visita Parigi e nel 1885 partecipa all’Esposizione Universale di Anversa, coniugando le mostre all’intensa attività grafica iniziata per “Cronaca Bizantina”. «Giulio Aristide Sartorio è una singolare natura di artista. Coloritore assai ricco e potente, disegnatore audace, egli va illustrando da qualche tempo ne’ suoi quadri l’epoca bizantina, quella straordinaria età di decadenza che ancora in gran parte è sconosciuta ed oscura. […] Quelle architetture e quelle sculture preziose […] dove chimeriche figure di animali e simboli ed enigmi sacri e fiori si avvicendano con infinita varietà di forme e di attitudini, tutte quelle cose insomma in cui è l’impronta di un’arte complessa e ricercata»[1]. Con queste parole, Gabriele D’Annunzio (1863-1938), sotto lo pseudonimo “Il Duca Minimo” elogia il giovane Sartorio, tra le pagine de “La Tribuna”. I due si incontrano  per la prima volta a Roma, proprio nella redazione di “Cronaca Bizantina” rivista con sede in Palazzo Sciarra e in cui Sartorio lavora come illustratore e D’Annunzio come giornalista. Nel 1886, Sartorio fa parte della schiera di artisti chiamati a decorare l’editio picta della dannunziana raccolta di poesie Isaotta Guttadauro, esprimendosi a pieno in un simbolismo di carattere estetizzante, in totale accordo con le tendenze preraffaellite inglesi che si stavano diffondendo nella Roma fin de siècle. Il 1886 è l’anno in cui Sartorio si lega a Francesco Paolo Michetti (1851-1929) e in cui si avvicina a Nino Costa (1826-1903) e al suo gruppo In Arte Libertas.

    Nel 1889 partecipa all’Esposizione Universale di Parigi con I figli di Caino e nell’estate dello stesso anno, soggiorna a Francavilla al Mare nella dimora di Michetti, dove sperimenta le prime prove di paesaggio. Nel 1890 il conte Gegè Primoli gli commissiona il trittico delle Vergini savie e le Vergini stolte (Roma, Galleria Comunale d’Arte Moderna), elaborato in una Roma simbolista in cui frequenta l’ambiente artistico che gravita attorno alla figura di D’Annunzio, che gli mostra le riproduzioni delle opere di Dante Gabriel Rossetti. Sono gli anni in cui si interessa anche alla fotografia come fondamentale tassello nella creazione dell’opera, come punto di partenza grazie a cui studiare il soggetto da proporre, un chiaro supporto all’elaborazione del dipinto, come lo sarà per molti anni, fino alla produzione matura.

    Viaggia spesso in Inghilterra, dove si ferma nel 1893, visitando Londra, Liverpool e Manchester, dove ha modo di avvicinarsi ai Preraffaelliti e in particolare a Edward Burne-Jones. Scrive articoli sul simbolismo e sul romanticismo, collaborando a diverse riviste tra cui “Il Convito” e la “Nuova Rassegna”. Nel 1895 il granduca di Weimar lo invita ad assumere la cattedra di pittura alla Scuola di Belle Arti, dove rimane per quattro anni e dove ha la possibilità di avvicinarsi alle Secessioni e di studiare l’idealismo tedesco e la filosofia nietzscheana. È in questa fase che, inoltre, si sviluppano le prime fasi del Sartorio animalista: durante i suoi viaggi tra Londra, Parigi e Weimar, frequenta gli zoo locali e ne trae ispirazione per i primi dipinti animalier ispirati anche dalla fauna esotica.

    Nello stesso anno, partecipa alla I Biennale di Venezia, in cui esporrà per molti altri anni. Già nell’edizione del 1899 si presenta con il dittico Diana d’Efeso e Gorgone e gli eroi, eseguito a Weimar e poi acquisito dallo Stato e oggi nella collezione della Galleria Nazionale di Roma. L’inizio del nuovo secolo rappresenta per Sartorio il raggiungimento della vera consacrazione da parte della critica. Nel 1901 viene nominato accademico di San Luca, anno in cui sposa la prima moglie Julie Bonn, una pittrice di Francoforte da cui avrà una figlia Angiola (nata nel 1903); ciononostante il matrimonio finirà molto presto. Nel 1904 è tra i fondatori del gruppo dei XXV della Campagna romana e nel 1906 esegue il fregio per la Sala del Lazio all’Esposizione Nazionale di Belle Arti di Milano e quello per la Sala del Popolo a Roma: in questo modo la pittura di questi anni assume due forme principali, quella più intima del paesaggio e quella del monumentalismo celebrativo e allegorico, che sfocia, nel 1912, nella realizzazione del fregio del Parlamento a encausto, per imitare l’effetto scultoreo.

    Nel 1915 si arruola come volontario in guerra; in battaglia sull’Isonzo viene catturato dagli austriaci e rimane loro prigioniero a Mathausen per quasi due anni: da questa tragica esperienza scaturisce una serie di dipinti di guerra, oggi in gran parte dispersi, ma che rappresentano un altro importante nucleo della vasta e variegata produzione del pittore.

    Al termine del conflitto, nel 1918, sposa l’attrice Marga Sevilla, da cui ha due figli, Lidia e Lucio Aristide, con cui vive nella villa in via di Porta San Sebastiano a Roma, chiamata Horti Galateae. Sono anche gli anni in cui si avventura nel cinema, collaborando con la casa di produzione Triumphalis. Compie un viaggio in Egitto per eseguire il ritratto del re Fu’ad I e continua l’esplorazione tra Palestina, Giordania, Siria. Il 1921 lo vede protagonista di una importante personale presso la Galleria Pesaro di Milano, mentre al 1922 risale la pubblicazione di Flores et Humus, Conversazioni d’Arte. Due anni dopo, compie un viaggio in America Latina a bordo della Regia Nave Italia in qualità di Commissario Governativo per le Belle Arti. Nel 1929, invece, si imbarca per due mesi sulla nave militare Duilio per una crociera nel Mediterraneo. Contemporaneamente si occupa della progettazione della decorazione musiva del Duomo di Messina, rimasta incompiuta per l’insorgere di una malattia che lo porterà gradualmente alla morte nel 1932. Coordina queste sue ultime attività con quella di scrittore, componendo Sibilla, un poema da lui illustrato, e La favola di Sansonetto Santapupa (1926-1929), testo romanzato sulla sua vita fino al 1883.

    Elena Lago

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