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Pittore

Giuseppe Capogrossi


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Giuseppe Capogrossi

( Roma 1900 - 1972 )

Pittore

    Giuseppe Capogrossi

    Giuseppe Capogrossi nasce a Roma nel 1900 da una famiglia dell’aristocrazia romana. Dopo aver conseguito il diploma classico proprio durante la Prima guerra mondiale, viene immediatamente arruolato e combatte sull’Adamello. Rientrato dalla guerra, si iscrive a giurisprudenza e si laurea per seguire il volere materno.

    Contemporaneamente, però, è animato da un profondo sentimento artistico e, per intercessione di uno zio gesuita, viene introdotto nello studio del pittore e decoratore Giambattista Conti, all’inizio degli anni Venti.

    La Scuola di Felice Carena e la mostra alla Pensione Dinesen del 1927

    Sono gli anni in cui si dedica alla copia dei maestri del Quattrocento, soprattutto Paolo Uccello e Piero della Francesca. A partire dal 1923, figura tra gli allievi della Scuola di Felice Carena agli Orti Sallustiani, momento cruciale che determina l’avvicinamento ad altri pittori, che diventeranno poi amicizie fondamentali, tra cui Emanuele Cavalli e Fausto Pirandello.

    È nella metà degli anni Venti che si va configurando la modalità tecnica e stilistica che contraddistingue tutta la prima produzione di Giuseppe Capogrossi prima della Seconda guerra mondiale. Tra la composizione di nature morte, delicatissimi ritratti e paesaggi sospesi e silenziosi, inizia a frequentare l’ambiente della Casa d’Arte Bragaglia e, nel maggio 1927 esordisce in una mostra che ha segnato la nascita del tonalismo romano degli anni Trenta, quella alla Pensione Dinesen, insieme ad Emanuele Cavalli e Francesco di Cocco.

    Tre giovani rivoluzionari accomunati da la sospensione oracolare dei dipinti pierfrancescani e dominati non dal classicismo ridondante ed ormai imperante del ritorno all’ordine di Novecento, ma dal richiamo naturale ad alcuni aspetti di Valori Plastici, rielaborati attraverso un lirismo moderno ed espressivo.

    Il Tonalismo degli anni Trenta e il Manifesto del Primordialismo Plastico

    Dopo ripetuti soggiorni parigini alla fine degli anni Venti, Capogrossi partecipa alla sua prima Biennale di Venezia nel 1930 con una Figura che già contiene in nuce le ricerche tonali degli anni successivi, condotti insieme a Cavalli, Cagli, Gentilini e Janni. Queste indagini sul colore, che viene interpretato attraverso una soluzione di architetture magiche e semplificate in forme arcaiche e sognanti, si esplicitano nelle opere presentate alla Sindacale romana del 1932: Marina, Donna col velo, Arlecchino e Casa in demolizione.

    La preziosità cromatica, conferita da un tonalismo silenzioso e sospeso quasi verso l’astrazione delle masse ritorna nelle sue opere più significative degli anni Trenta, In riva al fiume, Gita in barca, Il nuotatore, Piena sul Tevere, Ballerina, alcuni dei quali esposti alla Galleria del Milione di Milano nel 1933 e oggi conservati nella collezione Cerasi di Palazzo Merulana. Nel Manifesto del Primordialismo Plastico, firmato insieme a Melli e Cavalli, si ufficializzano le idee attorno alla pittura tonale della Scuola Romana, mettendo in evidenza una forte componente spirituale e arcaizzante. Giovani corpi virili che ricordano i volumi di Piero della Francesca, mostrano delicatamente atmosfere incantate, dal sapore trasognato, cristallizzate in attimi di immobilità, come si osserva nelle tele Il poeta del Tevere del 1934 e Ballo sul fiume, con cui vince il Premio Carnegie di Pittsburgh nel 1937. Due anni dopo, tiene una personale alla III Quadriennale di Roma con sedici opere, tra cui Dialoghi, Oggetti carnevaleschi, Contadina, Baraccone da fiera, Arlecchino e Teatrino di campagna. In esse, i colori sono chiari e posati come nelle opere dei maestri del Quattrocento, i movimenti lenti e incastonati in un equilibrio quasi atemporale ed in armonie tonali che rientrano nella poetica unione di luce e colore.

    La ricerca figurativa di Capogrossi si prolunga fino agli anni Quaranta. Nel 1943, alla Quadriennale romana espone alcune figure di Ballerine concentrate nei loro gesti di preparazione, come Ballerina che si pettina, molto vicina ad alcune figure di Cavalli o Ziveri. Soltanto nel dopoguerra, alle soglie degli anni Cinquanta, compaiono le prime ricerche che Giuseppe Capogrossi conduce attorno alla pittura neo cubista ed informale, inaugurando il suo alfabeto personale e segnico, conosciuto in tutto il mondo, l’iconico “pettine” o “forchetta” che rappresenta la nuova poetica dell’artista e che si vede per la prima volta nel 1950, ad una personale presso la Galleria del Secolo di Roma.

    Elena Lago

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