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Gustav Wilhelm Palm


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Gustav Wilhelm Palm

( Harlov 1810 - Stoccolma 1890 )

Pittore

    Gustav Wilhelm Palm

    Firmata e datata dall’autore seguendo la tipica prassi di autografare nome e data di esecuzione sulla superficie di un particolare figurativo della tela – in questo caso la cartella dell’artista sul primo piano a destra – l’opera in questione risulta peraltro connotata dalla peculiarità fondamentale attraverso la quale Gustaf Wilhelm Palm era solito certificare l’autenticità dei suoi lavori ufficiali, ossia la palma stilizzata che possiamo qui notare accanto alle citate iscrizioni.

    Tale abitudine da parte del maestro svedese era nata proprio in concomitanza del lungo periodo di soggiorno a Roma fra il luglio del 1841 ed il dicembre 1851, anni in cui l’artista, affettuosamente noto come “Palma” all’interno della folta comunità artistica transnazionale della Città Eterna di cui egli poteva ben identificarsi fra i decani, aveva febbrilmente lavorato raccogliendo numerosissimi motivi paesaggistici, scorci urbani e ritratti di vita popolare registrati con una larga varietà di tecniche che andava dallo sketch ad olio eseguito en plein air fino alla silhouette su carta Bath delineata attraverso l’utilizzo di camera lucida, passando per il disegno a mano libero, tecnica nella quale Palm riusciva a mettere in mostra la varietà di una formazione didattica maturata lavorando da illustratore per manuali scientifici di botanica – era la Svezia degli eredi diretti di Carl Linnaeus – e studiando presso la Kungliga Akademien för de Fria Konsterna (KGA) di Stoccolma.

    Nonostante dei rapporti inizialmente tutt’altro che idilliaci con l’Accademia Reale svedese, il duro lavoro portato avanti in Italia ha eventualmente creato delle basi professionali molto solide per Palm, il quale una volta tornato a Stoccolma nel 1852 verrà in seguito ingaggiato quale professore di pittura di paesaggio presso la suddetta KGA proseguendo parallelamente un lavoro di traduzione del materiale raccolto negli anni romani in dipinti molto richiesti sul mercato scandinavo di quegli anni. Continuerà ad insegnare fino alla vecchiaia formando numerosi maestri della generazione successiva, pur rimanendo sempre fedele alla cifra stilistica maturata in Italia che possiamo benissimo riconoscere in questa veduta dei Fori Romani del 1875.

    Dopo essere stata esibita nello stesso anno presso la KGA (n. 225), la vendita dell’opera è infatti ricordata all’interno del taccuino personale di Palm (il registro è oggi custodito nella stessa KGA) da cui risulta l’acquisto da parte del grossista C. Alb. Andersson [sic] per la cifra di 500 corone svedesi. La transazione era avvenuta contestualmente alla annuale vendita artistica organizzata dalla Konstföreningen, una sorta di corrispettivo svedese delle promotrici di belle arti sul modello della francese Sociéte des amis des arts, o piuttosto della romana Società degli Amatori e Cultori delle Belle Arti.

    Alcune fortunate circostanze a livello di fonti permettono di analizzare con una certa profondità il processo creativo del paesista svedese. Palm ha infatti custodito per tutta la vita un enorme corpus di disegni, acquerelli ed olii che oggi sono quasi completamente conservati presso il Nationalmuseum di Stoccolma, dove il fondo dedicato conta più di 1200 pezzi. Possiamo dunque stabilire che, accanto alla totale assenza di disegni dei Fori Imperiali, l’artista prima del 1875 si è occupato del soggetto solo per una “mindre tafla” [piccola tavola] del 1844, molto probabilmente un bozzetto che ha funto da base per le ulteriori tre edizioni, delle quali quella in oggetto è la prima a riemergere sul mercato dopo vari anni.1 Già infatti il primo biografo di Palm, Gustaf Lindgren, certificava nel suo catalogo del 1934 l’esistenza delle tre opere, ammettendo di essere riuscito ad analizzarne personalmente due.

    Queste erano una tela di dimensioni maggiori (cm. 77×100) sempre del 1875 – che giudicando dalla descrizione di Lingren doveva essere molto simile a quella in esame, fatta eccezione per la presenza di una donna con un bambino in braccio – ed una seconda, più piccola, la cui iscrizione autografa con data risultava allo storico illeggibile ma che molto probabilmente doveva appartenere agli stessi anni. È infine ipotizzabile che la base figurativa non vada riconosciuta nel piccolo bozzetto del 1844 oggi non ancora rintracciato, quanto piuttosto in un lavoro eseguito da un altro artista che Palm può aver poi sviluppato sulla traccia dei propri ricordi: i Fori nel 1875 dovevano infatti presentarsi come piuttosto diversi rispetto a quelli qui ritratti. La pratica non sarebbe inedita per l’artista svedese, nel cui fondo custodito presso il Nationalmuseum sono talvolta presenti disegni non autografi.

    Una volta analizzate complessivamente, tali circostanze rendono la tela in esame un brano assolutamente prezioso nella traiettoria pittorica matura di Palm. Laddove infatti le prove giovanili, soprattutto gli studi en plein air, possono vantare una freschezza espressiva sicuramente maggiore, il ruolo progressivamente preponderante che la memoria riveste nelle opere del maestro svedese caratterizza queste per un afflato lirico certamente più intenso, se non più propriamente romantico in un’accezione eminente del termine.

    Ne risulta un potenziamento della sua consueta capacità nella restituzione topografica che possiamo riconoscere nella stragrande maggioranza della sua produzione, ma che in prove di questa caratura permette di approfondirne gli esiti sfruttando strumenti puramente formali. La bionda luce radente che ammanta in gradi diversi questa scatola prospettica così precisa in ogni suo dettaglio, diventa dunque funzione di un approfondimento analitico che trasforma il Tabularium, il Palazzo del Senatore, la chiesa di Santa Francesca Romana, lo scorcio del Colosseo e del Palatino in un’esplorazione sentimentale, più che in un registrazione sensoriale.

    All’interno della scena l’occhio del vedutista sembra investigare tanto lo spazio quanto il tempo; si riconosce e confronta nella serena quotidianità dei personaggi a passeggio sul ponte, nello sfizioso spaccato in primo piano con i monaci che dialogano con l’artista – sarebbe potuto essere lo stesso Palm -, si misura e si ricalibra nel punto di vista dell’uomo con bastone al centro della tela che di spalle osserva la scena da un punto di vista sovrapponibile ma ulteriore rispetto al nostro, stratagemma ancora una volta di un romanticismo quasi paradigmatico che non emerge con tale potenza nelle prove giovanili. La somma di queste direttrici parla dello smaliziato equilibrio raggiunto da un maestro che, in piena maturità artistica, padroneggia ormai il mestiere del realismo e la suggestione del ricordo con un brio tanto istintivo quanto calibrato, un equilibrio espressivo evidentemente maturato alla luce di un’esperienza artistica e umana profondamente vissuta e decantata.

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