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Pittore
Ivo Pannaggi
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Ivo Pannaggi
I dipinti futuristi a tecnica mista di Ivo Pannaggi sono stimati tra i 1.000 euro e i 6.000 euro. Le opere di maggiori dimensioni e di soggetto costruttivista raggiungono cifre superiori, tra i 6.500 euro e i 12.000 euro. Superano queste cifre e raggiungono i 30.000 euro i capolavori degli anni Venti, come i ritratti futuristi: il record d’asta di 38.000 euro è del 2003 per il curioso e giocoso Ritratto di Vinicio Paladini. I disegni e le incisioni hanno stime tra i 150 euro e i 900 euro a seconda del soggetto e delle misure.
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Ivo Pannaggi nasce a Macerata nel 1901, ma si trasferisce a Roma e Firenze per frequentare la Facoltà di Architettura. Una volta terminati gli studi decide di unirsi al movimento futurista esponendo, appena ventenne, alla Casa d’Arte di Anton Giulio Bragaglia. La sua produzione artistica varia dalla pittura, alla scultura, dalla grafica alla scenografia e diviene una delle personalità più interessanti e attive nell’ambiente intellettuale della Capitale.
L’artista si impegna anche a stimolare la vita culturale della città natale partecipando all’Esposizione Futurista al Convitto Nazionale di Macerata nel 1922 insieme a Balla, Depero e Prampolini, introducendo un’arte che rompe drasticamente con la tradizione figurativa. Le prime opere del pittore sembrano più vicine alla ricerca artistica di Balla, mentre quelle successive richiamano più gli stilemi boccioniani. Di questa prima fase sono le opere Nudo di donna – sensazione del 1921, Mia madre legge il giornale del 1919-22 e Treno in corsa del 1922.
Negli anni che vanno dal 1922 al 1926 si concentra invece su tematiche volte all’elogio della meccanica e la moderna tecnologia. Nel 1922 infatti firma insieme a Vinicio Paladini il Manifesto dell’arte meccanica prima pubblicato su “Lacerba” e poi sulla rivista “Noi” nel 1923, in una versione rielaborata da Prampolini.
“Oggi è la MACCHINA che distingue la nostra epoca. Pulegge volanti, bulloni e ciminiere. […] Ecco dove ci sentiamo irresistibilmente attirati. Non più nudi, paesaggi, figure, simbolismi per quanto futuristi, ma l’ansare delle locomotive, l’urlare delle sirene, le ruote dentate, i pignoni, e tutto quel senso meccanico NETTO DECISO che è l’atmosfera della nostra sensibilità. […] Sentiamo meccanicamente e ci sentiamo costruiti in acciaio, anche noi macchine, anche noi meccanizzati dall’atmosfera”.
Nel testo redatto dai due artisti si esalta la macchina che diviene l’emblema dell’energia creatrice attraverso la quale compiere la “ricostruzione futurista dell’universo” teorizzata da Balla e Boccioni.
L’amicizia con Paladini lo aprirà anche alla ricerca costruttivista russa che influenzerà la sua evoluzione futura. Infatti in opere come Ritratto di Vinicio Paladini del 1922, il pittore supera la scomposizione pittorica boccioniana e vira su una ricerca sintetica sia nel colore che nella forma geometrica e “meccanica”. Rispetto alla scelta di Paladini, immediatamente indirizzata all’arte d’avanguardia sovietica, Ivo Pannaggi media in un primo momento la sua posizione sviluppando una ricerca cromatica bidimensionale e tardo cubista sulla scia di Prampolini.
La collaborazione con Paladini continua anche in campo scenografico, infatti i due realizzano i costumi per il Ballo meccanico futurista andato in scena alla Casa d’arte Bragaglia a Roma nel 1922 e l’impronta costruttivista è molto evidente.
L’artista proseguirà la sua attività teatrale per tutti gli anni Venti, lavorando al Teatro degli Indipendenti di Bragaglia. Tra il 1923 e il 1924 si dedica alla progettazione della scena per La torre rossa di Guido Sommi Picenardi; nel 1925 è impegnato alla realizzazione di una delle scenografie per il Pierrot futurista di Jules Laforgue, e sempre nel 1925 lavora all’esecuzione della scena dei Prigionieri di Baia di Marinetti. In quest’ultimo lavoro si nota l’influenza più visibile del costruttivismo e delle nuove forme provenienti da El Lissitzkij. Tra il 1926 e il 1927 si occupa della scenografia e dei costumi per L’angoscia delle macchine e Raun, entrambe di Ruggero Vasari.
Una delle sue invenzioni più suggestive a livello scenografico è la “Lanterna magica”, un espediente attraverso il quale riesce a proiettare le ombre in dimensioni dilatate.
Nel 1926 partecipa alla Biennale di Venezia esponendo sei opere che non hanno più nulla a che fare con l’arte figurativa virando all’astrazione formale come Funzione architettonica “H 03”, Funzione architettonica “3 U”, Funzione architettonica “P M”, Il costruttore, Derivazione plastica da bottiglie, bicchiere, ambiente e Derivazione plastica da chitarra, boccale, occhiali.
Dal punto di vista architettonico, nel 1925, esegue presso Esanatoglia, in provincia di Macerata, la ristrutturazione di alcuni locali interni della casa di Ero Zampini, proprietario di industrie conciarie e distillerie, creando uno dei primi esempi di architettura di interni d’avanguardia in Italia. L’artista progetta per l’abitazione quattro ambienti: l’anticamera, la camera da pranzo, la sala per le radioaudizioni e la camera da letto. Nella decorazione fonde e sintetizza varie ricerche artistiche passando dall’Espressionismo tedesco, al Neoplasticismo olandese, al Costruttivismo russo e ovviamente al Futurismo italiano.
Ivo Pannaggi nella sua carriera sperimenta davvero tantissime tecniche e ricerche artistiche. Negli anni Venti svolge anche l’attività di caricaturista, interpretando i volti di vari personaggi dell’avanguardia internazionale in quelle che lui stesso definisce “astrazioni sintetiche”, non perdendo di vista la resa psicologica. Si occupa anche di tipografia e fotografia, utilizzando e interpretando questo mezzo come strumento per ampliare i confini della visione. Lavora inoltre con la tecnica del fotomontaggio realizzando dei fotocollages che mostrano una sua conoscenza diretta del dadaismo.
Desideroso di approfondire la sua ricerca a livello internazionale, nel 1927 parte per la Germania e nel 1932 frequenta il Bauhaus. Da questo momento l’artista rompe definitivamente i rapporti con il Futurismo. Di questo periodo sono i disegni raffiguranti Kandinskij, Gropius e Mies Van der Roher. Alcuni dei suoi lavori vengono pubblicati su “Der Sturm” e “Der Futurismus”, e nel 1938 vengono esposti alla Columbia University di New York, o a Springfield nel Massachussetts.
L’artista viaggia molto, si recherà in Lapponia, Venezuela, Brasile e costeggerà l’Africa, lavorando come fotoreporter per alcune riviste. Negli anni Quaranta si stabilisce in Norvegia dove riprende a dipingere e a dedicarsi all’attività di architetto e designer. Negli anni Settanta rientra invece a Macerata che gli aveva dedicato una grande retrospettiva nel 1963, e qui scompare nel 1981.
Emanuela Di Vivona
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