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Pittore

Luigi Mussini


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Luigi Mussini

( Berlino 1813 – Siena 1888 )

Pittore

    Luigi Mussini

    Fin qui inedito, sebbene particolarmente ben documentato nella corrispondenza e nelle fonti storiche sull’artista, questo dipinto di medio formato suscita interesse e curiosità sotto molteplici punti di vista.  Quasi un dejeuner sur l’herbe anzitempo, ambientato davanti a un castello della Loira, eseguito con una pittura vivace e fresca in equilibrio fra poetica purista e cultura dei Macchiaioli, l’opera è innanzitutto, per il soggetto e per la data di esecuzione, una testimonianza flagrante delle relazioni che il pittore senese Luigi Mussini strinse in Francia con nobili, artisti e intellettuali di spicco (Marquis 1978; Lombardi 2007).

    Specificamente l’opera documenta i rapporti stretti fra l’artista ormai trentenne e gli Aguado, una famiglia di primo piano nella scena mondana parigina, prossima all’imperatrice Eugenia de Montijo e alla cerchia di Napoleone III, e in particolare con il primogenito Olympe, il quale, solo qualche anno più tardi, svilupperà insieme al fratello Onésipe, il suo talento e da nobile dilettante di fotografia, promettente allievo del pittorialista Gustave Le Gray,  diventerà visionario professionista prima del dagherrotipo, poi della camera oscura, sperimentatore audace dell’arte fotografica anche fra le quinte dello stesso castello riprodotto in questo dipinto. Diventeranno celebri le sue fotografie, fatte in famiglia come dei tableaux vivants, ironiche e sagaci come Admiration! E La lecture, aperte critiche alle consuetudini del vivere del suo tempo, e a ciò che è bene fare in società (Olympe Aguado 1997).

    Riguardo allo studio della produzione di Luigi Mussini, che nel 1851 da rappresentante di primo piano del purismo toscano diventerà direttore dell’Istituto di Belle Arti di Siena, e che fu considerato da molti il solo partner italiano di Ingres di cui peraltro fu a lungo stretto sodale (Del Bravo 1969; Sisi Spalletti 2007), il Ritratto della famiglia Aguado documenta un aspetto fin qui scarsamente noto della sua attività: ossia la commistione del ritratto in piccolo alla pratica della pittura di esterni (tra la veduta e il paesaggio). Pertanto, in quanto raro esemplare della sua produzione, prodotto lontano da casa, stilisticamente collocato in un momento di transizione e di particolare libertà di linguaggio, quest’opera costituisce una testimonianza particolarmente potente delle opere francesi dell’artista nel biennio in cui questi si trasferì all’estero per allontanarsi, deluso, dalla congiuntura politica che l’aveva visto militare con la pattuglia toscana a Curtatone e Montanara nella guerra d’Indipendenza del 1848. E come scrisse lui stesso: “quando il generoso e poetico movimento del ‘48 naufragava nei vortici sollevati dalle sette e dagli arruffapopoli, audaci e ambiziosi, io, nel febbraio di quell’anno nefasto, scorato e nauseato me ne andai a Parigi” (Mussini 1888, p. 5).

    Nella Ville lumière, dove appena arrivato si lamentava di  non avere “ne aderenze, ne appoggi”, Mussini, proprio grazie a un ritratto a figura intera all’acquerello di una signora francese, eseguito a Firenze e poi mostrato a Parigi, si conquistò una buona reputazione da ritrattista e qualche committenza, fra cui quella della famiglia Aguado, come racconta lo stesso pittore in una lettera del 27 ottobre 1849 al celebre statuario Lorenzo Bartolini: “I ritratti all’acquerello mi hanno per un pezzo alimentato il pot-au-feu, ed occupato umilmente mentre ero senza lo studio. Poi fui chiesto dal conte Aguado di andare a passare il settembre in un suo castello nel Berry per farvi gli studi di un quadretto, ritratto ad un tempo del castello (di pittoresca e antica costruzione) e della famiglia villeggiante”(Documenti. Archivio Guasti Manoscritti, pp. 55-57, in Lorenzo Bartolini 1978, p. 179).

    La gestazione del dipinto, firmato e datato al 1850, inizia dunque nell’autunno dell’anno precedente con un sopralluogo a Grossouvre durante il quale Mussini realizza gli studi che poi saranno alla base del “ritratto del Castello, e della famiglia a guisa di Paese figurato”, come lo definisce in un’altra missiva, inviata questa volta all’amico scultore Giovanni Duprè (Siena, Biblioteca Comunale degli Intronati, Lettera di Luigi Mussini a Giovanni Duprè, 27/10/1849, consultabile on line su memofonte.it). Il genere di per sé era interessante e anche nuovo: di gruppi familiari all’aperto con sullo sfondo le dimore avite non c’erano molti esempi, né in Italia (Falbo 2023), né in Francia.

    Il fondale entro il quale è inquadrato il gruppo familiare è, infatti, dominato dal castello medievale che la famiglia Aguado, grazie alle fortune del marchese Alexandre Aguado de las Marismas (1784-1843), banchiere di origini spagnole, proprietario di una collezione straordinaria di arte spagnola (Galerie Aguado 1839-47), aveva acquistato dai duchi di Bourbon e restaurato (forse persino con l’aiuto dell’amico Viollet-le-Duc) e dove avrebbe trascorso le vacanze fino al 1868.

    Il castello è rappresentato con massima cura nelle sue caratteristiche distintive, ossia con il recinto circondato da torri circolari ai quattro angoli collegate a un mastio in bugnato della fine del XIII secolo, inquadrato da due quinte di alberi. In prossimità di queste, in due schieramenti, è rappresentata la famiglia Aguado in compagnia di altri personaggi al momento non riconoscibili.  A sinistra, come appena tornati da una battuta di caccia, si distinguono in piedi Olympe-Clemente-Alexandre-Auguste Aguado de la Marismas (Parigi 1827-Compiègne 1894) e suo fratello Onésipe, mentre a destra, unica donna elegantemente abbigliata fra un drappello di cavalieri, incede la madre Maria de Carmen Vidoire Moreno, protetta da un ombrellino da passeggio. Le fisionomie di questi tre membri della famiglia sono perfettamente riconoscibili grazie al confronto con i molti autoritratti e fotografie di famiglia che i due fratelli eseguirono qualche anno più tardi. Al momento non identificabili sono invece gli atri individui. L’artista toscano, specialista di pittura di figura, di dipinti di storia, più tardi immaginifico compositore di scene tratte dalla letteratura (Eudoro e Cimodoce da Les Martyrs di Chateaubriand), sperimenta in quest’opera, come mai prima e mai altrove, l’ambientazione en plein air, riponendo una speciale attenzione sia alla resa del paesaggio verdeggiante che delle tante figure oggetto del ritratto di gruppo. Dipinge con campiture compatte di colore e imbastisce la composizione con contrasti cromatici nelle zone di luce e di ombra, non rinunciando tuttavia alla nitidezza disegnativa purista su cui si era esercitato a lungo.  L’effetto, molto originale, è quello di una ripresa dal vero, saldamente realistica, che formalmente devia dallo stile “finito” di Mussini – e quindi dalla tornitura formale purista verso la quale era già orientata la sua pittura – ma mantiene una sua geometria ordinata interna, una maniera alternativa dunque, i cui prodromi sono da rintracciare più che nelle esperienze parigine, in quelle toscane e romane immediatamente precedenti al soggiorno francese.

    L’indirizzo delle ricerche di cui questo dipinto è uno dei rari esiti è ben registrato nell’attività artistico-militare del Mussini del fatidico 1848. Era stata infatti l’esperienza del campo, come si apprende leggendo le sue lettere inviate ai familiari, a consentirgli di esercitarsi nei ritratti in piccolo formato di commilitoni e superiori e nella pittura di paesaggio: “credo che con Tricca [Angiolo] faremo delle vedute dei luoghi importanti della guerra all’acquarello per fare una pubblicazione, un album in litografia colorita” scrive in una missiva inviata da Rivalta (Lettera di Luigi Mussini ai familiari, Rivalta, 28 maggio, 1848, Raimondi 1918, p. 5). Nella corrispondenza, continue sono le richieste di carta e colori e frequentissimi sono i riferimenti ai ritrattini che, afferma, “mi mangiano vivo. Sono accarezzato da tutti per interesse, tutti vorrebbero il ritratto e mi danno del caro Professore a più non posso”, testimonianza di una produzione ancora in attesa di essere rintracciata ed esaminata (ivi, p. 4). Ma in relazione al ritratto della famiglia francese è una lettera al fratello Cesare in cui Luigi Mussini si dilunga in precisazioni di carattere tecnico a rivestire particolare importanza: “Intanto farò forse una corsa con Enrico a Peschiera, ove si va in un’ora e anche meno; li potrei fare qualche acquerello giacché mi sono accorto, facendone uno qui, che il fare da Roma in poi soltanto dei ritratti un po’ finiti ho perso quel tocco franco e quella prestezza che avevo acquistato nel fare i costumi. (Lettera di Luigi Mussini al fratello Cesare Mussini, Borghetto, 11/07/1848, in Raimondi 1918, pp. 31-32). Cruciale in questa lettera è il richiamo al soggiorno romano (1840-1844) e alla velocità di tocco dell’acquerello che lascia ipotizzare il coinvolgimento di Mussini in una pratica caratterista della vita artistica capitolina ovvero il dipingere all’aria aperta. A partire dai primi decenni dell’Ottocento, l’esercizio pittorico alla luce naturale, lungi dall’essere esclusiva dei paesaggisti, fu una passione condivisa da tutta la comunità cosmopolita e per i pittori di figura si concretizzò di frequente nella realizzazione di ritratti realizzati nella scena urbana o sullo sfondo della campagna romana punteggiata da rovine e monumenti. Come osservava già Sandra Pinto tali prassi innovative conversero nella Firenze ancora granducale ponendosi quale alternativa alla “liturgia dell’Accademia”; “Rispetto all’immutabilità di questa” si potevano scegliere altre scuole fiorite nel quinto decennio del secolo, a partire da quella di “Luigi Mussini e Franz Adolf von Stürler dove, dal 1844 alla vigilia del ’48, i due pittori, provenienti da Roma, professano un purismo ormai teorizzatissimo e maturo. […] In queste scuole le idee sul dover essere dell’arte possono essere francamente dibattute; i problemi di soggetto, di documentazione, di costume storico che in Accademia costituiscono la sola occasione di attività mentale, vengono messi in secondo piano rispetto a quelli più seducenti di nuove ricerche formali di cui giunge o almeno rimbalza a Firenze informazione europea, francese e germanica, attraverso Roma” (Pinto [1982] 2022, pp. 382-383).

    Furono proprio questi contatti, spesso congiunturali, a sostenere il passaggio “dal quattrocentismo mistico, contenutistico e storicizzante dei Puristi a quello laico, moderno, e formalistico dei macchiaioli”(Mazzocca 2007, p. 63), secondo l’autorevole linea interpretativa inaugurata da Mario Tinti che, nel 1926, evidenziando il ruolo preponderante avuto da Mussini nella formazione del macchiaiolo Silvestro Lega elencava tutti quegli aspetti del vero – “la scomposizione e l’aggregazione geometrica delle forme, la prospettiva volumetrica dei corpi nella simultaneità forma-colore, gli sbattimenti della luce, le risorse plastiche del chiaroscuro – cui i Puristi si rivolsero  “come a categorie di problemi tecnici che s’ingegnarono di risolvere mediante l’osservazione della natura sorretta dagli esempi degli antichi Maestri. Spettava al rinnovamento realistico di trasportare tutto ciò da un campo ancora troppo speculativo e teorico in una sfera tutta intuitiva e sperimentale” (Mazzocca 2007, p. 49).

    Più una conciliazione, dunque, che una rivoluzione, il travaso dell’impianto grafico neo-quattrocentista nel territorio di una nuova “sintesi prospettica” giocata su contrasti tonali e luminosi, è, in termini formali, sapientemente declinato nel Ritratto della famiglia Aguado che proprio per il “tocco franco e la prestezza”, accuratamente serbati nell’opera finita, e per l’evidenza assegnata al paesaggio, deve essere annoverato fra “i cosiddetti incunaboli della ‘macchia’ manifestatisi dopo il ‘48”(Mazzocca 2007, p. 43).

    L’opera è un’aggiunta significativa e inattesa al catalogo di Luigi Mussini e una testimonianza importante del suo soggiorno parigino, foriero di importanti riconoscimenti giunti direttamente dal Secondo Impero per il quale eseguì una seconda versione de La musica sacra (Rodez, Musée des beaux-arts Denys-Puech) e dette avvio al dipinto I parentali di Platone celebrati da Lorenzo il Magnifico a Careggi (Bourg en Bresse, Musée de Brou).

    Giovanna Capitelli e Jessica Calipari

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