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Mariano Fortuny y Marsal
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Mariano Fortuny y Marsal
Maestro di fama internazionale e al culmine della carriera, dimorante a Roma ma ben introdotto nella Parigi capitale del lusso e delle mode, Mariano Fortuny si trasferì nell’estate del 1874, a pochi mesi dalla sua improvvisa scomparsa, in una villa a Portici nei pressi di Napoli. Qui venne naturalmente in contatto con quegli artisti che sin dall’inizio degli anni ’60 avevano eletto quei luoghi come centro delle loro ricerche.
Raccolti nella scuola di Resina, e guidati dalla determinatezza caratteriale di Marco De Gregorio, ricercavano una strada alternativa sia nei confronti dell’eccessiva analisi verista di Palizzi che della poetica letteraria morelliana, in una direzione dichiaratamente realista ma sensibile al nitore cromatico e alla semplicità strutturale1. Non è dunque un caso che elemento comune ai migliori interpreti del magistero fortuniano, da Edoardo Dalbono a Francesco Paolo Michetti, sia stata proprio la militanza a Resina, con la conseguente aspirazione alle novità che comportava.
La particolare forma mentis di Fortuny, ricettiva verso le novità a Parigi come a Madrid, a Londra come a Napoli, lo portò rapidamente a misurarsi con la realtà artistica partenopea. Esemplare in questo senso è Villeggiatura, l’opera più impegnativa del periodo, dove si può scorgere sia un espediente prospettico tipico di De Gregorio nel lungo muro sullo sfondo, sia la citazione nella figura centrale intenta a cucire della ben nota Luisa Sanfelice in carcere (Napoli, Museo di Capodimonte), esposta alla Promotrice del 1874 da Gioacchino Toma.
Naturalmente il rapporto non fu certo a senso unico: l’incontro con l’opera dello spagnolo fu per alcuni maestri napoletani, che condividevano sia la frequentazione di Portici che un talento fuori dalla norma, una rara occasione di venire a contatto con le ultime tendenze dell’arte europea. Fortuny, infatti, non era solo un impeccabile autore di vibranti tableutins in costume settecentesco molto apprezzati dal mercato internazionale bensì anche uno straordinario sperimentatore informato sull’arte giapponese, sulla lezione dei grandi maestri antichi come di quelli contemporanei.
Da questi interessi deriva l’inedito naturalismo del periodo porticese caratterizzato dai colori chiari e freddi, dall’assenza di prospettiva – si pensi ai Figli del pittore nel salone giapponese (Madrid, Prado, Casón del Buen Retiro) – dalla fattura estemporanea e da una straordinaria lettura del dato naturale, fattori riscontrabili ne Il Macellaio (Coll. privata) e in Nudo sulla spiaggia di Portici (Madrid, Prado, Casón del Buen Retiro).
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