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Pittore

Mario Reviglione


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Mario Reviglione

( Torino 1883 - 1965 )

Pittore

    Mario Reviglione

    Il contesto

    Alla fine degli anni Dieci Torino è accarezzata da una garbata brezza secessionista. Le prime avvisaglie si erano percepite nel 1919 quando le proteste di alcuni artisti – alimentate da ragioni idealistiche non sconnesse da motivi mercantili – si erano accese in seno alla mostra annuale della Promotrice cittadina trascinandosi fino al 1921 anno in cui dai dissidenti prese corpo il progetto di una mostra da allestirsi alla Mole Antonelliana. Vi parteciperanno settanta artisti tra i quali Mario Reviglione che espose alcuni ritratti insieme a un’opera dipinta quattordici anni prima, “Egloga autunnale”, che la critica (P. Gobetti, E. Sobrero e M. Angeloni) non mancò di segnalare per l’amorevole recupero dei quattrocentisti italiani. 

    Quindi nell’anno in cui Reviglione riceve l’ufficializzazione accademica con il diploma di socio onorario dell’Accademia Albertina e sei anni prima che Longhi pubblichi il suo celebre saggio su Piero della Francesca, Torino è già pervasa di classicismo.

    L’artista

    Negli anni Venti, un ormai affermato Mario Reviglione – numerose le partecipazioni a mostre nazionali, gli acquisti da parte della corona e delle istituzioni mentre l’imprenditore Riccardo Gualino ne acquisisce un’opera nel 1920 – esprime una pittura priva di facili concessioni, meditata e ragionata nel tentativo di cristallizzare un’espressione o uno stato d’animo. L’artista raggiunge allora una progressiva semplificazione e una equilibrata sintesi formale. Uomo colto, ricercatore di sofisticate poeticità, cultore dei Primitivi toscani e di Böcklin, controlla i propri mezzi espressivi ottenendo soluzioni pittoriche collegate alle grandi correnti idealistiche del classicismo. 

    Nella primavera del 1923 si era inaugurata la quarta Quadriennale di Torino dove Reviglione espose “Eternità”. L’opera rappresenta proprio il tentativo di raggiungere una modernità senza tempo. È il momento in cui l’artista perviene a una delicatezza pittorica tutta spirituale non priva di una certa aristocratica raffinatezza come qualcosa di elevato, di idealizzante, ne ispirasse costantemente il pennello. 

    L’opera

    Un legame particolare ebbe il Reviglione con la famiglia Marangoni e in particolare con Cesare, il fratello del celebre Guido storico dell’arte nonché direttore dei Civici Musei di Milano e ideatore della Biennale d’Arte decorativa di Monza. La collezione di Cesare vantava alcune opere di Reviglione tra le quali due di eccezionale qualità: “Autoritratto a duemila” e “Eternità”. 

    “Eternità” è pervasa da una intensa forza icastica e da un misterioso senso di sospensione temporale. Nella lunga scia del simbolismo Reviglione intende fare di sé il cantore privilegiato di un mondo che si appresta a uscire dalle linee programmatiche delle avanguardie raccogliendo la personale esperienza artistica dei primi anni del secolo. Ce ne avvediamo quando osserviamo le solitarie e dirute vestigia archeologiche che si ergono su uno sperone roccioso all’orizzonte di “Eternità” che rammentano le rovine classiche graficamente abbreviate sul fondo di uno spoglio paesaggio illustrato nell’enigmatico ex libris xilografico dedicato intorno al 1905 all’amico poeta Giuseppe Cerrina.   

    In una metafisica sospensione, “Eternità” si articola intorno al vuoto centrale occupato da un freddo e smeraldino Mediterraneo senza tempo sul quale si riflette la luce di una gigantesca luna; astro notturno prediletto dall’artista che ne fece il soggetto di alcune opere giovanili. Alla sezione superiore del dipinto, occupata dalla costa solitaria e dalle colonne di un tempio, si contrappone il latteo incarnato di un nudo femminile della controparte inferiore. La figura distesa su una sorta di letto tricliniare celato da un panneggio rosso non è una semplice figura umana essendo idealmente collegata ai resti archeologici per mezzo della colonna intuibile sulla destra del dipinto che raccorda verticalmente gli estremi della tela mentre un canto di spiaggia sulla sinistra restituisce al panorama l’aspetto di un incantato golfo. 

    Reviglione adotta il motivo del nudo, genere non privo di rischi e che, con il ritratto, fu tra i più sospetti dalla modernità pittorica a causa delle tradizionali compromissioni con la pittura borghese. La figura qui appresentata è la manifestazione visibile di un ideale, di una divinità eletta a presiedere e governare bellezza e grazia secondo una verità di virginale nudità. Il capo velato e l’aureola iridata che avvolge il capo sono gli emblemi della numinosa presenza mentre gli orpelli, orecchini e bracciali, sono la metafora visiva della grazia attribuita dal labor, dalla metallurgia consacrata alle arti suntuarie. Facendosi musa del bello la figura adotta i gesti dei poeti e degli oratori: sguardo fisso innanzi a sé e mano aperta in una sorta di saluto benedicente che bene si adatta al corpo dolcemente abbandonato. La figura è quindi la rappresentazione dell’ideale estetico di un artista che intende la pittura come una «missione disinteressata di poesia, di bontà e di bellezza» (“Pitture di Mario Reviglione”, in “Gazzetta del Popolo”, 1° giugno 1935). Per “Eternità” Reviglione riesce insomma in un «contenuto poetico, espresso con quella aristocrazia di disegno, con quella purezza d’aspetti esteriori e interiori, con quella austera nobiltà di linguaggio, che fanno del nostro pittore un artista squisitamente dotato di sensibilità» (E. Ferrettini, 1923).

    Cenno biografico

    Mario Revigliono ‒ noto con il cognome Reviglione che lui stesso assume nei primi del Novecento ‒ nasce a Torino il 31 marzo 1883. Compie gli studi sino al quinto anno di ginnasio (secondo anno del liceo classico) presso l’istituto Massimo d’Azeglio di Torino per iscriversi quindi, nel 1900, all’Accademia Albertina. Per tre anni frequenta i corsi preparatori tra i quali quello di disegno della scuola di Giacomo Grosso e di Paolo Gaidano. Sono anni durante i quali apprende, senza dimenticarlo più, il valore fondante del disegno ma nei quali sviluppa altresì un’insofferenza per la cultura accademica di stampo ottocentesco. Deciso a seguire una propria via indipendente, Reviglione cerca una guida che lo possa assistere in questa fase di transizione e la trova in Felice Carena, di appena quattro anni più vecchio di lui e del quale inizia a frequentare lo studio. Entra in contatto con il milieu culturale torinese e diviene sodale di artisti come Domenico Buratti e Carlo Turina, orbitanti intorno a Leonardo Bistolfi autorevole sostenitore delle tendenze moderniste. Sebbene non sia appurabile il grado di penetrazione e partecipazione a questo ambiente, fu certamente quello il momento di contatto con le proposte idealistiche dell’arte europea e con il Simbolismo. Nel 1903, ventenne, esordisce all’esposizione della Promotrice delle Belle Arti di Torino, Società dove presenterà le proprie opere per tutta la vita, e l’anno successivo al Circolo degli Artisti, presso il quale esporrà fino agli anni Trenta. Nel 1906 partecipa alla Mostra nazionale allestita a Milano in occasione dell’inaugurazione del nuovo Valico del Sempione. Intraprende viepiù una strada umana e professionale appartata che lo porta a vivere nel sicuro alveo familiare, con la vecchia madre e con la moglie, autentica musa e modella di numerose opere tra cui il ritratto intitolato “Egloga autunnale” accolto, nel 1907, alla Biennale di Venezia. In laguna espone anche nel 1909 e nel 1910 quando passerà dalla sezione piemontese alle sale interregionali della gioventù. Queste due Biennali, insolitamente ravvicinate per evitare la coincidenza con le mostre commemorative del cinquantenario dell’unità nazionale a Roma e Torino, ospitarono artisti influenti su Reviglione: Franz von Stuck, onorato nel 1909 con una sala personale nella quale raccolse trentatré dipinti, Gustav Klimt e Oskar Zwintscher, presenti nel 1910. Queste aperture internazionali e l’adesione agli ambienti progressisti della cultura e dell’arte torinese, lo portano a realizzare alcuni capolavori come il celebre “Ritratto di Amalia Guglieminetti”. L’opera, dipinta nel 1911, fu esposta alla Biennale di Venezia nel 1912 ed entrò, nei primi anni Cinquanta, nella collezione di Italo Cremona. Divenuto un comprimario tra i pionieri della rinascita della xilografia in Italia, nell’agosto dello stesso anno Reviglione partecipa, con un piccolo notturno e un soggetto di lago costeggiato da floride sponde, alla Mostra xilografica di Levanto organizzata da Ettore Cozzani, direttore de “L’Eroica”, e dall’architetto Franco Oliva. Nel 1913 partecipa all’Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione di Roma dove porta Pastorale, opera dichiaratamente simbolista. L’artista partecipa anche alle successive edizioni della Secessione romana del 1914 e del 1915. Il 1914 fu uno degli anni più attivi nella carriera espositiva di Reviglione presente alla Biennale a Venezia con “Golf giallo (Ritratto della signorina Mimì Mosso)”, al Circolo degli Artisti e alla Promotrice delle Belle Arti dove la Galleria Civica di Arte Moderna di Torino acquista l’opera “Preludio lunare-Ricordo di viaggio”. In luglio il disegno colorato “Mia moglie” è premiato con la medaglia d’argento dalla giuria della Mostra Internazionale del Bianco e Nero tenuta a Firenze. Ancora nel 1914, alla Mostra Nazionale di Brera, espone due paesaggi, “Preludio di luce” e “La fine di un giorno”, e, alla XVI Mostra degli Amici dell’Arte organizzata alla Mole Antonelliana, presenta un’interpretazione dell’Isola di San Giulio del Lago d’Orta. Sono questi gli anni nei quali elabora le prime poetiche visione lacustri. Nel 1916 è chiamato alle armi. Nel giugno del 1919 è invitato, con Domenico Valinotti, Camillo Rho e Agostino Bosia, a rappresentare l’arte piemontese all’esposizione Cispadana di Verona. Nel 1920 ritorna alla Biennale di Venezia e l’anno successivo aderisce, presso la Mole Antonelliana, all’Esposizione d’arte voluta dagli artisti contrari alla direzione della Promotrice delle Belle Arti.

    Con il grande trittico “Notturno (dormiente)”, “Notturno (nubi)” e “Notturno (stelle)” presentato alla Biennale di Venezia del 1922, manifesta la sua etica del lavoro e l’alto esempio assunto dagli antichi maestri. Nel 1923 partecipa alla Iª Mostra Internazionale di Arte Decorativa Biennale di Monza.

    Nel corso degli anni Venti e Trenta si manifesta con maggiore evidenza la propensione di Reviglione a isolarsi in una vita appartata. Nel 1926 partecipa per l’ultima volta alla Biennale di Venezia. Nel 1929 allestisce, a Torino, una mostra personale ricca di centocinquanta opere alla quale seguirà, nel 1935, un’altra personale alla galleria d’arte Codebò di via Po 4 dove la commissione presieduta da Vittorio Viale acquistò, per il Museo Civico, il “Ritratto di un teologo”. Durante gli anni Trenta alcuni giovani artisti iniziano a guardare con ammirazione alla sua opera. Nel 1965 espone alla Promotrice il “Poeta solitario” con il quale ottiene la medaglia d’oro della Società. Restato vedovo da qualche anno, martedì 14 giugno 1965 Mario Reviglione muore a Torino, nella casa di riposo San Salvario, all’età di ottantadue anni.

    Adriano Olivieri

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