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Pittore

Tommaso De Vivo


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Tommaso De Vivo

( Orta di Atella 1790 - 1884 )

Pittore

    Tommaso De Vivo

    Tommaso De Vivo nasce intorno al 1790 ad Orta di Atella, comune in provincia di Caserta. 

    Si forma all’Accademia di Belle Arti di Napoli e nel 1821 vince il pensionato artistico che gli fornisce la possibilità di trasferirsi a Roma. Qui frequenta lo studio di Vincenzo Camuccini che sarà per lui una continua fonte di ispirazione. Altro artista rilevante per la sua formazione è il franco-svizzero Léopold Robert, allievo di David che soggiorna a Roma negli anni Venti.

    Lo studio del Cinquecento e Seicento romano

    L’artista prende parte a numerose edizioni delle esposizioni del Real Museo Borbonico con opere di soggetto religioso, mitologico, di carattere storico, ma anche copie di artisti: nel 1826 presenta infatti La deposizione di N. S. dalla Croce: da Michelangelo da Caravaggio, La SS. Vergine così detta di Foligno: da Raffaello di Urbino e Bacco sdraiato su di una pelle di tigre, e circondato da vari scherzosi Fauni. Nell’Urbe appunto approfondisce lo studio degli artisti del Cinquecento e Seicento romano realizzando diverse copie di alcune delle opere più celebri, esponendole nelle rassegne artistiche borboniche.

    Nel 1830 prosegue la sua ricerca artistica esponendo Il soccorso dell’indigenza. Una desolata famiglia di quattro individui languenti d’inedia vien soccorsa dalla benefica mano di nobil donna che le porge del pane, Ritratto virile a mezza figura, Diomede in atto che scende dal carro annunzia la vittoria che ha riportata nei giochi dei cocchi, celebrati da Achille in onor della morte del suo amico Patroclo, Estasi prodigiosa di S. Francesco di Paola, Ritratto virile a mezza figura e S. Michele Arcangelo, le ultime tre, sono copie da Guido Reni.

    Nel 1833 esegue i disegni illustrativi della Storia del Regno delle Due Sicilie che viene pubblicato a Roma. Uno di questi lavori viene presentato all’Esposizione del Real Museo Borbonico dello stesso anno con il titolo Partenope ed Aretusa appaiono in sogno all’autore e lo eccitano a ravvivare le memorie delle Due Sicilie delle quali alcuni Geij dimostrano le insegne ed i fasti.

    Nel 1835 torna all’esposizione partenopea con Morte di Eudossia; e anche nel 1839 con S. Giovanni Battista ad Erode, Stratagemma con cui la città di Napoli è presa dal Re Alfonso e Gruppo di due pastori sul Fucino.

    La vita tra Roma e Napoli: una pittura equilibrata sui modelli del Rinascimento

    L’artista continua a vivere tra Roma e Napoli ricevendo commesse in entrambi i territori. Nel 1838 riceve la nomina all’Accademia dei virtuosi del Pantheon, e parallelamente ottiene l’incarico di eseguire delle copie della Sibilla del Guercino da parte del marchese Donato Tommasi, ministro di Giustizia e Affari esteri ecclesiastici di sede a Napoli.

    Negli anni Quaranta esegue tre Allegorie della Divina Commedia dipinte su commissione di Ferdinando II di Borbone da cui riceve inoltre la nomina a Ispettore Generale delle pinacoteche reali. 

    Dal 1830 era divenuto anche pittore della Reale Casa borbonica e dal 1845 realizza alcuni lavori da esporre tra le sale della Reggia di Caserta come la Sibilla fa osservare ad Enea Tizio incatenato alla rupe, divorato dall’avvoltoio, il Ritratto di papa Pio IX e la Zingara predice a Sisto V l’ascesa al pontificato. Quest’ultima viene presentata all’Esposizione napoletana del 1845 con Giuditta si abbiglia per portarsi al campo di Oloferne. La sua produzione rimane sempre caratterizzata da un senso di equilibrio, composizione e purezza caro all’arte rinascimentale e che rievoca a sua volta il classicismo romano e greco.

    Nel 1848 presenta invece sempre alla rassegna borbonica Farinacio che ha introdotto nella prigione detta Torre Savella Guido Reni per ritrarre di soppiatto Beatrice Cenci nella vigilia della morte di lei, Ritratto della Cenci e Galileo Galilei nel carcere del S. Uffizio di Roma nell’atto che il Cardinal Bellarmino viene ad interrogarlo se ha egli rinunziato al suo sistema.

    Il ritorno a Napoli alla corte borbonica

    Dopo il 1848 e i moti rivoluzionari romani torna definitivamente a Napoli e diviene professore all’Istituto di Belle Arti fino al 1861. 

    Continua a lavorare costantemente per la corte borbonica e riceve la commissione dal re Ferdinando II per una Immacolata Concezione per la chiesa di Pizzofalcone di Napoli, oggi dispersa. Esegue anche diverse tele per alcune cappelle su incarico del re, che presenta nel 1858 all’Esposizione del Real Museo Borbonico: L’ultimo lamento del Divin Redentore, realizzato per le piccole cappelle della medesima chiesa, Lo Stabet Mater e L’Angelo che mette fuori della prigione S. Pietro, quadro che Ferdinando II gli commissiona per la chiesa di S. Raimondo. 

    Il Regno d’Italia e i nuovi soggetti allegorici 

    Dopo l’Unità d’Italia e la caduta dei Borboni cambia la committenza e tra i dipinti di soggetto allegorico si può menzionare l’opera che ha acquistato Margherita di Savoia nel 1869 l’Allegoria della Forza e della Timidezza, con Marte e Venere.

    Realizza anche L’Italia e suoi Geni per commemorare il Regno appena nato, donato al Senato italiano. Nella sua produzione si annoverano anche quadri con scene di genere, ambientate nella Napoli di fine Ottocento. Scompare a Napoli nel 1884.

    Emanuela Di Vivona

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