15 dicembre 2016 – 14 gennaio 2017
Data: 05/12/2016
Sede espositiva: Galleria Berardi – Corso del Rinascimento, 9 Roma
Organizzazione: A cura di Gianluca Berardi
Evento: Luoghi e vedute di Roma nell’Ottocento. Dal paesaggio classico alla pittura dal vero
Tra i principali collezionisti e antiquari del suo tempo, Attilio Simonetti (Roma 1843-1925) fu pittore apprezzatissimo nella scena internazionale. Formatosi nella capitale tra l’Accademia di San Luca e l’informale Accademia di Giggi in via Margutta, l’artista si affermò rapidamente negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento tra Roma, Londra, Parigi e Madrid come l’unico vero allievo di Mariano Fortuny y Marsal, sostenuto dal mercante Adolphe Goupil e ricercatissimo dai collezionisti europei e statunitensi per le sue preziose scene in costume e per le variopinte immagini di folclore locale, realizzate con perizia a olio o ad acquerello. All’acme del successo, che lo aveva visto frequentemente calcare la scena dei Salon parigini, Simonetti drasticamente decise di abbandonare la carriera artistica per dedicarsi al più remunerativo commercio delle opere d’arte, qualificandosi in breve tempo come connoisseur di fama internazionale.
La sua raccolta, in cui l’interesse per l’arte europea si affiancava a quello per le manifatture arabo-ispaniche, segnò una nuova linea nel mercato antiquario, mentre il suo studio in palazzo Altemps, allestito come un museo, costituì un modello per molti artisti. Coinvolto nel movimento culturale per la rinascita delle arti applicate e dell’istruzione artistica, che a Roma ebbe il suo esito nella creazione del Museo Artistico Industriale, Simonetti fu inoltre tra gli artisti più impegnati nell’organizzazione del celebre carnevale romano, delle feste degli artisti a Tor Cervara promosse dall’Associazione Artistica Internazionale e delle pubbliche feste capitoline. Nel 1Lungo la prima metà dell’Ottocento a Roma vengono messi a punto i principi del paesaggio classicista, direttamente ispirato ai prototipi seicenteschi di Claude Lorrain.
Questo vero e proprio paesaggio-architettura, sempre ordinato da una o più quinte arboree, con piccole figure in primo piano e un lento digradare verso l’orizzonte, sarà sperimentato da maestri italiani e stranieri. In questo senso in mostra esemplare è la grande tela dello svizzero Johann Jakob Frey: Veduta di Roma da Monte Mario. Il modus operandi per fissare in queste grandi tele le sensazioni derivate dal vero era costituito dagli studi all’aria aperta realizzati ad olio, su piccole tele o più spesso su carta, secondo un metodo messo a punto in Francia da Camille Corot e quindi importato in Italia dall’olandese Anton Sminck van Pitloo. In esposizione, cammeo degli studi compiuti dal vero, è il piccolo olio su carta di Ippolito Caffi raffigurante Interno del Colosseo con fuochi di bengala. Di lì a poco sarà Massimo Taparelli D’Azeglio a teorizzare tale metodo di lavoro: “Dipingevo dal vero in tele di bastante grandezza, cercando di terminare lo studio, o quadro sul posto, senza aggiungere una pennellata a casa” (D’Azeglio 1867).
Sempre lungo la prima metà del secolo compare per la prima volta nel repertorio della pittura di paesaggio il soggetto delle paludi pontine, di cui sarà presente in mostra un’affascinante opera del gallese Penry Williams. Un intento spiccatamente documentario invece è quello che emerge dal dipinto di Vincenzo Giovannini raffigurante Pio IX che lascia Roma sulla via Flaminia. Il successivo passo sarà la pittura dal vero sperimentata da Nino Costa, che con l’amico George Mason comincerà a battere la campagna romana dipingendo – e sono parole del pittore romano – “ove d’uopo stare con i piedi nelle pozzanghere”. Gli effetti atmosferici del “realismo intellettuale” operato da Costa e da Mason, presto associati nella cosiddetta “Scuola Etrusca”, saranno poi fondamentali per il successivo sviluppo del realismo toscano.
I popolani nella pineta di Ostia Antica può essere considerato un manifesto programmatico della Scuola Etrusca. Contemporaneamente a Nino Costa numerosi pittori stranieri iniziano a ritrarre i luoghi più affascinanti di Roma, sollecitati da un sempre più fiorente mercato, abbandonando il linguaggio realista a favore di una più immediata tecnica para-impressionista. Ricordiamo tra le diverse opere in mostra L’arco di Tito di Theodor Groll, Il Tevere a Ponte Sant’Angelo con San Pietro sullo sfondo del tedesco Carl Wuttke, e Sulla via Appia di Franz Richard Unterberger.890 l’artista lasciò lo studio di palazzo Altemps e acquistò l’edificio fatto da poco costruire dal principe Baldassarre Odescalchi in via Vittoria Colonna. La Galleria Simonetti diventò uno degli spazi più prestigiosi della città, venne visitata da illustri esponenti dell’aristocrazia e del mondo artistico italiano ed europeo e fu un punto di riferimento fondamentale per i maggiori esperti della scena museale internazionale.
Per la prima volta dalla sua morte, la Galleria Berardi dedica all’artista-antiquario una mostra in cui saranno esposte alcune delle sue opere più significative provenienti dalla collezione degli eredi, a esemplificare alcuni dei temi cardine della sua ricca produzione. Accompagna l’esposizione la prima monografia sull’artista, a cura di Teresa Sacchi Lodispoto e Sabrina Spinazzè, corredata da un ricco apparato bibliografico e iconografico comprendente la pubblicazione delle opere disperse nel mercato internazionale.