PITTURA DELL’800 A ROMA – Dal Classicismo al Divisionismo


    10 maggio – 23 giugno 2007

    Data: 25/09/2007

    Sede espositiva: Galleria Berardi Roma – Corso Rinascimento, 9
    Organizzazione: Galleria Berardi
    Evento: PITTURA DELL’800 A ROMA – Dal Classicismo al Divisionismo

    Obbiettivo della rassegna è la presentazione di una serie di spunti che vogliono suggerire la complessità dei linguaggi artistici dei maestri, italiani e stranieri, presenti a Roma lungo tutto l’arco del XIX secolo. Tale operazione, che in questa sede non può né vuole avere esiti di completezza, restituisce tuttavia una dimensione internazionale dell’Ottocento romano che, se già è stata ratificata dalla mostra Maestà di Roma1 per la prima metà del secolo, rimane ancora inesplorata per gli anni post-unitari.

    La Sacra Famiglia (1818) di Gaspare Landi, versione variata di quella appartenente ai marchesi Landi di Piacenza, apre in maniera paradigmatica l’esposizione racchiudendo, tra il nitido profilo classicista della Madonna e il sorprendente fare sciolto e quasi camucciniano del San Giuseppe, i due poli del classicismo romano di inizio secolo. Significativa anche la presenza della Vittoria Caldoni in costume di Albano (1830 ca.) del Deutsch-Römer August Riedel, redazione finale della commissione del re Ludwig I di Baviera. L’opera, poi presentata all’Esposizione Universale di Chicago del 1892, rappresenta l’ideale della bellezza popolare italica, agli occhi dei maestri stranieri unica via per ritrovare la perfezione raffaellesca non contaminata dalla modernità. Sulla stessa scia si muove Rudolph Lehmann, il cui piccolo olio tradisce in particolare la lezione di Leopold Robert.

    Negli anni ’50 Roma si distinse per le innovazioni compiute nella pittura dal vero e nella pittura di storia. Saranno Carlo Coleman e Nino Costa, primi in Italia in parallelo alle solitarie e ostinate ricerche di Filippo Palizzi a Napoli, ad impegnarsi in una pittura realista. Il trasferimento nel 1857 di Bernardo Celentano nella capitale pontificia divulgherà poi il verismo storico di matrice morelliana, imprescindibile esempio per tutte le nuove generazioni, a partireda Cesare Fracassini.

    Il decennio successivo vide, spesso in opposizione con l’ufficialità dell’Accademia, l’indagine capillare dei luoghi della Campagna Romana frequentati per sperimentare il nuovo linguaggio verista. Pittore “per eccellenza della deserta natura”2 dei luoghi laziali è Achille Vertunni, in realtà presto affascinato da un ductus veloce e da un cromatismo prezioso, lontano dagli esordi palizziani. Una vena polemica e di impegno permea invece l’opera di Giuseppe Raggio, sensibile alla dura realtà delle popolazioni dell’agro, che ne Il buttero e il mendicante sposa il tema sociale a uno stile abile e vibrante dai chiari debiti fortuniani. Il tema della campagna romana verrà poi affrontato con diverse declinazioni: realiste nell’allievo di Nicola Palizzi Vincenzo Scala, nel grande foglio di Leopoldo Mariotti o nelle Raccoglitrici d’uva di Daniele Bucciarelli, costumbriste nel variopinto acquerello di Francesco Coleman come nella rara maternità di Giuseppe Mazzolini, e in una formula più à la page nel Derby Reale del 1887 di Enrico Coleman. Non è un caso che molte di queste opere presentino in comune il medium dell’acquerello poiché la fama dei maestri romani in Europa – ratificata dalla fondazione della Società degli Acquerellisti in Roma nel 1875 – era notevole precisamente per questa tecnica, dove si alternava acribia descrittiva e un fare più sciolto e virtuoso, con colori insolitamente vivaci e dimensioni anche notevoli.

    Quanto mai significative le conseguenze dell’annessione di Roma avvenuta nel 1870 che mutarono inevitabilmente il mercato dell’arte. Repentina fu la fondazione dell’Associazione Artistica Internazionale alla cui presidenza venne eletto il principe Baldassarre Odescalchi che, pur essendo contrario ai condizionamenti imposti dai mercanti, di fatto appoggiò con le sue idee3 un eclettismo estetico che si andava a sposare perfettamente con le esigenze del principale mercante parigino, Adolphe Goupil. Agli occhi di Odescalchi il pittore poteva cimentarsi con un ampia scelta di soggetti, purché siano “gradevoli”, tecnicamente “inappuntabili” e “veritieri” nelle loro ricostruzioni storiche. L’arte di genere romana – confortata dall’esempio di Mariano Fortuny y Marsal che scelse Roma come residenza prediletta – sbarcò in tal modo nei Salons parigini e venne presto collezionata dai grandi imprenditori americani4. I filoni frequentati sono i più vari: costumbrista (Adriano Bonifazi), neopompeiano (Luigi Bazzani, Modesto Faustini), orientalista (Cesare Biseo, Antonio Rivas), giapponista (Sinibaldo Tordi), e scene in costume settecentesco (Mario Spinetti).

    In parallelo a queste tematiche e sulla scia degli esempi fortuniani si portarono avanti anche le conquiste formali: colori più vivaci e luminosi assieme ad una tecnica libera e sapiente che poneva i maestri romani in linea con il nuovo naturalismo europeo degli anni ’70, altrimenti rappresentato tra gli altri dallo stesso Fortuny, dal napoletano Domenico Morelli, dal russo Ilyá Répin, dall’americano John Singer Sargent e, benché portato alle estreme conseguenze, dal gruppo francese degli Impressionisti5.

    Davvero preziosi in questo senso gli esempi forniti da alcuni pittori – non a caso legati alla scuderia Goupil – sorpresi a sfiorare il non finito con impareggiabile maestria. Vincenzo Capobianchi, impeccabile autore di scene neopompeiane in punta di pennello e intimo di Fortuny, firma uno straordinario ritratto dai toni giapponisti quanto mai denittisiano. Francesco Jacovacci, che ritroveremo come primo direttore della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, raffigura uno spaccato della borghesia alla moda che riporta alla mente l’apice della ritrattistica internazionale, da Fortuny a Giovanni Boldini. Infine Nazareno Cipriani che ritrae la moglie – già effigiata da Pio Joris – donando un’atmosfera di delicata intimità tramite la magistrale resa degli incarnati opalescenti e vibranti di azzurro. Più tarda, ma indissolubilmente legata al maestro Sargent, la distillata e fluida eleganza del Ritratto in rosso di Pilade Bertieri.

    La fine del secolo vide le prime sperimentazioni divisioniste, in questa sede rappresentate da un lavoro di singolare importanza di Filippo Anivitti, databile al 1910 circa e successivamente esposto nella sezione “Pittura Italiana dell’800” nella mostra internazionale di Chicago del 1934. L’opera, significativamente dedicata ai XXV della Campagna Romana, racchiude tutta la poetica malinconia di quel movimento in aperto contrasto con un progresso non rispettoso dei tempi dell’Uomo e della Natura. Per la tecnica e la dimensione trova il suo unico parallelo conosciuto con Maccarese, conservato presso la Galleria Comunale d’Arte Moderna di Roma.

    Gianluca Berardi

    1 Maestà di Roma, cat. mostra a c. di S.Pinto, L.Barroero, F.Mazzocca, Venezia 2003.

    2 F.Netti, Scritti critici, Roma, 1980, pp. 257-258.

    3 Cfr. B.Odescalchi, Gli studi di Roma, Roma, 1876, pp. 36-59.

    4 Cfr. E.Strahan, The Art Treasures of America being the choicest of art in the public and private collections of north America, Philadelphia, s.d. .

    5 Per questo argomento cfr. G.Berardi, Il primato di Napoli: i maestri partenopei dell’800 tra innovazione e mercato internazionale, in corso di pubblicazione in “Storia dell’Arte”.

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