17 febbraio 2022
Data: 17/02/2022
Evento: I divisionisti
Dalla Triennale di Brera del 1891, luogo in cui il Divisionismo ha mostrato ufficialmente i suoi primi, rivoluzionari esiti a partire dalle tele della generazione di Giovanni Segantini, Giuseppe Pellizza, Gaetano Previati e Angelo Morbelli, sotto la guida teorica di Vittore Grubicy de Dragon, si è poi diffuso a livello regionale assecondando diverse declinazioni e stili, fino agli anni Venti del Novecento.
«L’espressione dei sentimenti che commuovono l’animo»[1] è una delle cifre caratteristiche del Divisionismo italiano, e il tratto che la distanzia dallo scientismo positivista del Pointillisme francese, saldamente ancorato all’applicazione pittorica dei principi dell’ottica. Il trasporto per il concetto di visione più che per la veduta analitica, l’interesse per la questione sociale e la ricerca dell’ideale e del simbolo all’interno del dato reale sono parte fondante della koinè divisionista, sia della generazione storica, sia delle prolificazioni successive. Colori puri complementari e non amalgamati, ma accostati gli uni accanto agli altri nella forma di lunghi filamenti, piccoli tocchi impercettibili o tasselli più o meno carichi di materia pittorica si inseriscono tutti nella generale formula di “pennellata divisa”, pur presentando tra loro forti differenze stilistiche.
Nella selezione di sei dipinti qui proposta, l’indagine divisionista assume diverse conformazioni e si inserisce nel più ampio panorama naturalistico, seppur con notevoli differenze da autore ad autore.
La grande veduta montana dall’arioso andamento orizzontale di Alberto Falchetti (Caluso, Torino, 1878 – 1956), esposta alla Biennale di Venezia del 1903, è impostata su un divisionismo fatto di piccole e fittissime fibre orizzontali che riportano alla memoria il linguaggio di Segantini, conosciuto personalmente da Franchetti e da cui è stato incoraggiato a dedicarsi ai paesaggi della Val d’Ayas a partire dal 1899. La vastità della scena è resa ancor più suggestiva dall’utilizzo di un divisionismo che si poggia su note cromatiche luminosissime, soprattutto nella parte superiore del dipinto, che inquadra le imponenti cime innevate. Il manto erboso, nelle sue molteplici sfumature di colore giustapposto e complementare, anima la vallata di una spiritualità che investe anche le solitarie figure in primo piano.
Di tutt’altra sostanza appare il tocco diviso di Adriano Baracchini Caputi (Firenze, 1883 – Livorno, 1968). Pittore toscano, fa parte di quella generazione di post macchiaioli, poi attivi nel Gruppo Labronico, avviati al linguaggio divisionista da Vittore Grubicy a Milano e da lui portati al Salon des peintres divisionnistes italiens di Parigi nel 1907. Se il punto di partenza è la poetica agreste della pittura di macchia, quello d’arrivo è un divisionismo arricchito di note simboliste. Il dato reale, nella Carbonaia di Baracchini Caputi, dipinto del 1911, si trasfigura in una visione quasi onirica, in cui il ductus filamentoso di alcune porzioni si unisce a tocchi più minuti, soprattutto nella definizione del cielo e degli alberi. L’andamento espressivo e a tratti pulviscolare della veduta dai colori infuocati si rifà direttamente ad alcuni brani di Plinio Nomellini (Livorno, 1866 – Firenze, 1943), di cui qui si presenta la tela matura Il glicine. Ormai lontana dalle indagini di matrice simbolista e da quel tratto divisionista composto da lunghi filamenti opalescenti dell’inizio del Novecento, Il glicine è un’impressione istantanea che racchiude in sé un vivace dinamismo: il colore diviso che definisce la pianta rampicante è costituito da tocchi complementari ma spontanei e pieni, che scendono a profusione verso le due figure femminili su cui si posano piccoli baluginii di luce filtrata tra le foglie e i fiori. Il resto della composizione, come si verifica in tutta la tarda produzione di Nomellini, è gestito con una sorta di fauvismo rielaborato attraverso un colorire libero e sciolto, dalla pennellata allungata, in cui qualsiasi descrittivismo minuzioso scompare in favore dell’espressione lirica.
Il mare di Baldassarre Longoni (Dizzasco d’Intelvi, Como, 1876 – Camerlata, Como, 1956), invece, è una composizione attentamente calibrata su un divisionismo dettagliato e preciso, in cui le note simboliste ed intimiste si uniscono ad una sensibile indagine luministica. La spuma delle onde si riempie di molteplici riflessi di luce solare, consegnati da minuziosi, equilibrati ed armoniosi puntini di colore diviso, che però non bloccano la composizione in una sterile e scientifica proposta puntinista, anzi consentono a porzioni più libere di materia luminosa di definire le onde e gli scogli.
Amilcare Casati (Forlì, 1895 – 1961), pittore noto soprattutto per l’attività di ritrattista, nella Veggente, tela del 1919, si esprime attraverso un divisionismo personalissimo. Il tocco diviso, in questa tela dal carattere sibillino, è reso attraverso finissime tratteggiature orizzontali che permettono al pittore di organizzare un raffinato gioco di chiaroscuri e di far brillare l’oscurità dello sfondo di misteriosi bagliori emanati dalla calda luce della lampada. Un formalismo sintetico avvolge l’imperscrutabile e solitaria figura della veggente, rivelando sorprendenti punti di contatto con il divisionismo di Aleardo Terzi, ma anche con il segno lineare e “mistico” del pittore ligure Sexto Canegallo.
Chiude questa variegata proposta divisionista la Piazza dell’Esedra di notte, di Giovanni Battista Crema (Ferrara, 1883 – Roma, 1964). L’opera, eseguita nel 1904, poco dopo l’arrivo di Crema a Roma, è uno sguardo realistico su una Roma notturna e silenziosa, che mostra comunque un brulicare di vite racchiuse in figure scure che solcano a piedi la piazza, con cui sembrano quasi confondersi. Il divisionismo di Crema dei primi anni romani rivela uno spiccato sfondo sociale e la narrazione di atmosfere crepuscolari, nebbiose, come nel dipinto Lavoro notturno alla stazione Termini, di poco successivo.
Elena Lago
[1] Vittore Grubicy de Dragon, Tendenze evolutive delle arti plastiche, catalogo della prima Esposizione Triennale di Brera (Milano, Pinacoteca di Brera, 1891), Milano, Tipografia cooperativa Insubria, 1891, p. 45