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BRUNO CROATTO (1875-1948):


    La magia del reale

     

    Nato il 12 aprile 1875 a Trieste, all’epoca prospero porto e centro imprenditoriale dell’Impero austro-ungarico, Bruno Croatto si forma dapprima nella sua città natale e dal 1892 circa presso l’Accademia di Monaco di Baviera. Nel vivace ambiente monacense conosce le ricerche impressioniste sul colore filtrate attraverso gli stilemi nordici di riviste cone “Jugend” e “Simplicissimus” e riceve gli stimoli della Secessione e di Max Liebermann e Franz von Stuck. Paradigmatico dovette, tuttavia, essere per l’artista il classicismo di Anselm Feuerbach attraverso cui affrontava la lezione dei maestri del Quattrocento italiano e fiammingo e di van Dyck e Rubens, studiati nelle sale dell’Alte Pinakothek. Dopo aver esordito nel 1895 presso la sala della Borsa di Trieste insieme ai compagni di studi Arturo Fittke e Achille Tamburlini, nel 1897 partecipa alla Biennale di Venezia, rassegna a cui sarà presente con continuità tra il 1912 e il 1924. Tra le prime opere note si annoverano il manifesto per I maestri cantori di Norimberga del 1902, opera grafica di matrice nordica, e il Ritratto della madre dormiente, collocabile dopo il 1904, in cui la lezione del triestino Arturo Rietti, da cui doveva essere stato iniziato all’uso del pastello, si fonde con suggestioni nordiche e in particolare con la lezione di Munch le cui opere pubblicate da Vittorio Pica su “Emporium” avevano riscosso grande interesse. Alla ricerca di nuovi temi e motivi, intorno al 1908 Croatto si trasferisce ad Orvieto, la dannunziana “città del silenzio”, dove stringe amicizia con Umberto Prencipe e si specializza nell’acquaforte e nell’acquatinta, tecniche privilegiate per dare forma a visioni oniriche e notturne. Nel corso di un biennio, anche grazie alla frequentazioni dei circoli artistici romani, fa suo ogni segreto dell’incisione su rame. Il disegno si fa strumento di indagine attraverso cui appropriarsi dell’essenza del dato fenomenico e trasfigurarlo in una dimensione di pura oggettività, mentre il colore diviene sempre più piatto e le scelte cromatiche si orientano verso il contrasto di colori caldi e freddi. Lo spazio viene progressivamente azzerato per dare risalto nei ritratti alla figura umana nelle nature morte agli oggetti. Il periodo compreso tra il 1910 e lo scoppio della prima guerra mondiale è segnato da viaggi per l’Italia alla ricerca di motivi puntualmente registrati attraverso il disegno e riprodotti in incisioni. Le incisioni permettono di rintracciare le coordinate del percorso artistico di questi anni. La visione ravvicinata e frammentaria della realtà comune agli artisti romani della fine degli anni Dieci è presente in una serie di vedute delle Villa Borghese; si collocano intorno al 1912 le vedute notturne di Venezia, prossime alle visioni di Mario de Maria, e di Roma, affini agli esiti del divisionismo romano. Intensa è anche nel contempo l’attività espositiva. Accanto alle mostre presso il Circolo artistico di Trieste (1897, 1912, 1924, 1926, 1928), si segnalano le rassegne degli Amatori e Cultori a Roma (1908, 1912), dell’Opera Bevilacqua La Masa a Venezia (1909) e l’Esposizione di Monaco (1911). Dopo la battuta d’arresto della guerra, durante la quale Croatto, da sempre irridentista, si ricovera in una clinica a Lubiana per non combattere con l’esercito austriaco, lo stile incisorio si fa via via sempre più luminoso, sintetico e disegnativo in linea con i coevi sviluppi del bianco e nero italiano. Parallela la ricerca pittorica degli anni Dieci, che si sviluppa sulla linea del post-impressionismo. Lo studio degli effetti atmosferici, resi con una materia pastosa, è protagonista delle vedute di Trieste, Venezia e Roma. È nel dopoguerra che Croatto raggiunge, tuttavia, la maturità artistica sotto il segno del ritorno all’ordine in direzione del realismo magico teorizzato da Massimo Bontempelli. L’abbandono delle avanguardie e lo studio dei grandi maestri del Trecento e Quattrocento italiano, aveva condotto artisti come Antonio Donghi, Felice Casorati e Cagnaccio di San Pietro a una pittura di pura visione, in cui il dato reale era trasfigurato in uno scenario immobile e incantato. La tecnica, il lavoro, quella pratica costante esercitata per anni attraverso la difficile tecnica dell’incisione, asse portante della poetica di Croatto  veniva colta dal critico Silio Benco: “sempre subiva una specie di imperativo, che gli veniva non solo dallo studio del Quattrocento […], ma dalla suggestione delle sue stesse qualità individuali più forti: la ferma mano del disegnatore, la fredda disciplina dell’occhio a isolarsi su quelle realtà esattamente che egli voleva colpire, la sua facoltà di discernere senz’altro e di mettere a posto i valori locali”. In opere dei primi anni Venti, per lo più ritratti e nature morte, è possibile ravvisare il nuovo corso della sua pittura. Protagonista e ispiratrice di una lunga serie di opere attraverso cui seguire negli anni gli sviluppi della ritrattistica di Croatto è la moglie Ester Igea Finzi, sposata nel 1919. Si tratta di dipinti da cui traspira un’eleganza borghese e senza tempo, che si rispecchia nelle sofisticate nature morte con fiori, vasi e oggetti orientali. Dopo il trasferimento a Roma nel 1925, l’artista si mantiene lontano dalle correnti dell’arte ufficiale, benché la sua casa-studio in via del Babuino sia frequentata da un pubblico d’élite spesso protagonista dei suoi ritratti e la sua presenza alle esposizioni locali e nazionali sia costante, fino alla consacrazione internazionale con la personale nel 1929 a Parigi presso la Galerie Reitlinger. Con il suo stile forgiato in anni di lavoro e attraverso lo studio degli antichi maestri, l’artista si trova a colmare uno spazio di cesura tra tradizione e modernità: tradizionale nel linguaggio e nella tecnica, moderno nell’ambientazione, nell’abbigliamento e, talvolta, in certa seducente sfrontatezza o al contrario austera alterigia dei suoi modelli. La sua pittura è la perfetta rappresentazione dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, fatta di industriali e finanzieri, politici e diplomatici, che popola i salotti e i luoghi del potere romani. È un mondo rassicurante, semplice e non mutevole, analogamente descritto da Ghitta Carell, la fotografa ufficiale dell’epoca. Si tratta di una società che sceglie di essere effigiata da un artista e da una fotografa discreti, che rifuggono il chiacchiericcio della vita di società e le platee dei dibattiti artistici, due veri artigiani del fare. Scorrendo i nomi degli uomini, ritratti secondo stilemi rinascimentali seduti al tavolo da lavoro o su uno sfondo paesaggistico, si riconoscono il critico d’arte Francesco Sapori (1932), il direttore generale del Ministero dell’Educazione nazionale Ernesto Franco (1935-36), il conte Ernesto Vitetti (1938), Pietro Mascagni (1939). Gli abiti da sera e da giorno, i velluti, le sete e i taffetà, le pellicce, le perle, gli anelli preziosi, le acconciature alla moda caratterizzano, invece, i ritratti femminili in interno o su sfondo paesaggistico, tavolta diviso da un drappo scuro su modello del Rinascimento veneto. Nelle composizioni con vasi di fiori e nelle nature morte con frutta e cacciagione, le cineserie e i soprammobili orientali sono associati a preziosi vetri di Murano, vero oggetto di culto della borghesia degli anni Trenta. Non a caso parole di apprezzamento giungono dal critico Remigio Strinati nel 1931 sulle pagine dell’”Almanacco della donna italiana”, rivista dedicata proprio a quelle signore destinatarie della sua arte: “mi sia lecito accennare a Bruno Croatto , che vi si affermò artista di gran classe; nella cui poderosa pittura giocano squisiti ninnoli per la donna e per la casa”. Gli ultimi anni della vita di Croatto sono segnati dalla soddisfazione professionale, ma anche da un intenso lavoro. Numerosi sono gli autoritratti con cui l’artista si scruta e si rappresenta con i mano gli strumenti del proprio mestiere. Come testimoniato da una lettera indirizzata al fratello il 3 marzo 1942, in occasione della personale tenutasi alla Galleria La Barcaccia Croatto era arrivato a realizzare un dipinto ogni tre giorni. È questa una delle sue ultime fatiche, prima della morte sopraggiunta a Roma il 6 settembre 1948.

    A. Colantuoni, Artisti della Redenta. Un poeta dell’acquaforte: Bruno Croatto, in “L’Ardita”, I, 1919, 1, pp. 465-469

    B. [Silvio Benco], La mostra di Bruno Croatto, “Il Piccolo della Sera”, 1 dicembre 1923

    Catalogo mostra Bruno Croatto. Acqueforti originali, catalogo della mostra con presentazione di S. Benco (Bologna, Circolo di Cultura, 9 aprile 1926), Bologna, Stabilimenti Poligrafici Riuniti, 1926

    S. Benco, La mostra di Bruno Croatto, “Il Piccolo della Sera”, 7 febbraio 1927

    Bruno Croatto, catalogo della mostra (Roma, La Camerata degli artisti, 1-15 febbraio 1932), Roma, 1932

    P. Scarpa, Bruno Croatto, “Il Messaggero”, 21 febbraio 1934 

    R. Strinati, Il pittore Bruno Croatto, in “Il Regime fascista”, 18 marzo 1939

    P.S. [Piero Scarpa], Mostre d’arte. Croatto, “Il Messaggero”, 26 febbraio 1943

    D. Mugittu, Bruno Croatto, Trieste, Fondazione CR Trieste, 2000 (con bibliografia precedente)

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    “Bruno Croatto è un raffinato nel senso degli antichi maestri, è un successore della scuola pittorica olandese nella natura morta, benchè subito vi si possa ravvisare un tratto di modernità”.

    (F.X. Harlas, 1931)

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