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PIETRO MENGARINI (1869-1924):


    un “apostolo del luminismo” nella Roma d’inizio secolo

    Tra le più interessanti personalità del divisionismo romano ancora in attesa di una riscoperta da parte della letteratura vi è il pittore Pietro Mengarini, attivo nella Capitale a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento. Un profilo biografico, il suo, ricostruibile attraverso lo studio delle fonti coeve, che lo collocano in un ruolo di primo piano all’interno del dibattito sul nuovo modo di intendere la pittura. Di famiglia aristocratica, Mengarini si formò presso il pittore e decoratore Giulio Rolland ed esordì nel panorama espositivo romano nel 1891 alla mostra annuale della “Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti”, dove espose uno Studio di nudo. Non è dato sapere esattamente quando e in che modo l’artista sia venuto a conoscenza della tecnica divisionista, che adottò in gran parte dei dipinti giunti a noi: è tuttavia ipotizzabile che vi si sia avvicinato già al volgere del secolo, con ogni probabilità grazie alla frequentazione di Giacomo Balla, uno dei primi divisionisti attivi a Roma insieme a Enrico Lionne. «Mengarini è ossessionato dalla piena luce che quasi distrugge gli aspetti e i contorni»1 scrisse Vincenzo Bucci in un articolo sulla pittura divisionista all’esposizione degli Amatori e Cultori del 1904, dove l’artista romano presentò otto dipinti, tra cui ritratti e alcune vedute di un viaggio compiuto a Tunisi. In una recensione della mostra sulla prestigiosa rivista inglese “The Studio”, Mengarini fu associato a Discovolo, Lionne e Basilici, definiti «gli apostoli del vangelo divisionista»2. L’anno seguente, quando partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia con un Nudo ed una Mezza figura, Rusconi lo definì «neofita del divisionismo, che sta pur per diventarne un apostolo»3, riprendendo le parole del cronista britannico; e questo suo speciale ruolo di evangelizzatore fu confermato qualche mese dopo pure da Giuseppe Pellizza da Volpedo, in una lettera indirizzata ad Angelo Morbelli4.

    Mengarini dimostrò di essere profondamente calato nel dibattito artistico a lui contemporaneo anche alla mostra degli Amatori e Cultori del 1905, dove espose un grande quadro raffigurante «Gesù Cristo mentre visita, in un’officina, i lavoratori del ferro»5: un soggetto insolito, ma pienamente in linea con il “socialismo umanitario” rappresentato in mostra da Giacomo Balla, coinvolto nell’organizzazione, e Giovanni Prini, con una ricca personale di sculture; ma anche Giovanni Battista Crema con la sua Istoria dei ciechi dolorosa e persino il più mondano Camillo Innocenti, che nell’opera Mezzogiorno rappresentava gli operai in pausa da incudine e martello per addentare un tozzo di pane.

    Ulteriore conferma della centralità della sua figura negli sviluppi del divisionismo romano è data dalla Mostra Nazionale di Belle Arti di Milano del 1906, dove gli fu affidato l’importante compito di organizzare la sala del “Gruppo della Giovine Roma”. Vi espose tre tele dal divisionismo – per usare le parole di Ugo Ojetti – «pallido e nebbioso»6 come La solitaria, accanto, tra gli altri, a opere divisioniste di Balla, Discovolo e Lionne. Da quel momento la sua presenza alle esposizioni italiane e internazionali fu puntualmente notata dalla critica, e talvolta persino la sua assenza, come nel caso della Biennale di Venezia del 19127. Anno dopo anno, Mengarini presentava la sua personale visione del divisionismo – fedele all’esempio pellizziano, ma arricchita nella materia e nella modernità degli effetti cromatici – attraverso i soggetti più diversi: ritratti borghesi e scene d’intimismo domestico che lo accomunavano a Innocenti, Noci e Lionne, ma anche nature morte, soggetti sacri e paesaggi. Le vedute marine e fluviali, attraverso le quali l’artista poteva indugiare su effetti di trasparenza e bagliore, gli assicurarono particolare successo. Ancora Rusconi, a proposito delle opere esposte alla mostra degli Amatori e Cultori del 1907 e in particolare alla marina Napoli (Immacolatella), lo definì «l’apostolo infaticabile del luminismo, uno dei pochi rimasti fedeli al programma della nuova teoria, alla giovanissima tecnica, la quale veramente gli ha concesso effetti di luce magnifici»8. La veduta napoletana fu riproposta da Mengarini a Parigi al Salon d’Automne del 1909. Anche altri critici, come Guido Marangoni9, notarono la sua particolare abilità nel paesaggio, ed è forse proprio in ragione di tali manifestazioni di apprezzamento che alla grande esposizione del 1911 a Valle Giulia decise di presentare solo due grandi marine: Dopo la pesca e Anzio, quest’ultima acquista dal Re per le proprie collezioni.

    Negli anni della “Secessione” romana si schierò tra le file dei dissidenti già al momento dei primi malumori sorti con la Società degli Amatori e Cultori di Belle Arti, come testimonia Giulio Aristide Sartorio in una lettera al direttore de “Il piccolo giornale d’Italia” pubblicata nel numero del 2-3 marzo del 1913.

    Le opere di questo periodo riscossero un discreto successo e furono notate dalla critica per il luminismo infuso ai paesaggi, come Caricatori di carbone presentato alla prima esposizione della “Secessione”, o Altra sponda10, veduta «chiara lucida e trasparente», come la definì Marangoni11, presentata all’edizione successiva. Alla “Secessione” e alle mostre successive Mengarini espose in tandem con la pittrice Ida Magliocchetti, sua compagna di vita. Nel 1917 tornò quindi ad esporre presso gli Amatori e Cultori, con una rara natura morta floreale12.

    In generale, l’intera opera di Mengarini ha un carattere di rarità: nonostante la costante presenza alle maggiori esposizioni italiane e internazionali tra fine Ottocento e inizi Novecento, infatti, le sue opere si affacciano assai di rado sul mercato. Ciò sarebbe da associare, secondo le fonti, alla sua perenne insoddisfazione e a quell’ossessivo rigore intellettuale che lo portò a distruggere gran parte dei suoi dipinti anche a distanza di molti anni dalla loro realizzazione13.

     

    Manuel Carrera

     

    1 V. Bucci, L’Esposizione di Primavera, in “Rivista di Roma”, 1905, fasc. XII, p. 179.
    2 «Perhaps the most notable feature of this exhibition was the group of works by the Luministi, apostles of the Divisionist gospel». O. R. A., Studio-Talk: Rome, in “The Studio: international art”, 1904, vol. 32, n. 137, p. 251.
    3 A. J. Rusconi, La pittura italiana alla VI Esposizione di Venezia, in “La nuova parola”, 1905, n. VIII, p. 115.
    4 Cfr. T. Fiori, F. Bellonzi (a cura di), Archivi del divisionismo, Roma 1969, pp. 239-241.
    5 O. Roux, Esposizione di Belle Arti a Roma, in “Natura ed Arte”, 1905, n. 11, p. 774.
    6 U. Ojetti, L’arte nell’Esposizione di Milano: note e riflessioni, Milano 1906, p. 48.
    7 «Pietro Mengarini diserta il campo insieme ad Aristide Sartorio»: G. Marangoni, La Xa Esposizione Internazionale di Venezia: Arte avvenirista – Romani e piemontesi – I pittori lombardi, in “La cultura moderna”, 1912, fasc. XV, p. 159.
    8 A. J. Rusconi, L’Esposizione di Belle Arti in Roma, in “Emporium”, 1907, Vol. XXV, n. 150, p. 412
    9 «Pietro Mengarini […] nei due quadri inviati a Venezia, raggiunge vibrazioni perfette di luce meridiana, in una trasparenza diffusa e quasi fosforescente, dando alla nostra retina la sensazione lievemente penosa che si risente dai riverberi del sole nelle ore del pieno pomeriggio. Nella esposizione di Milano del 1906 il Mengarini meravigliava con un quadro originalissimo nel quale analizzava finemente, in mirabili accordi grigi, l’atmosfera chiusa d’una camera da bagno con una figura emergente fra i leggieri fumi del vapore acqueo. Oggi il giovane pittore romano affronta l’aria aperta e tanto nel Cantuccio tranquillo, come nella Vela nuova dipinge la luminosa visione di una spiaggia di mare sotto i raggi del mezzogiorno. Pittura aristocratica e raffinata, condotta sopra una gamma ristrettissima di toni, e di contrasti, uno sforzo di virtù pittorica che rasenta senza toccarli, beninteso, la virtuosità ed il saggio di bravura. Basterebbe una pennellata volgare ed eccessiva per guastare tutto l’effetto del quadro. Ma il Mengarini con una padronanza squisita della misura, si mantiene in carattere ed evita anche quell’eccesso di biaccosità che a torto da qualcuno gli si rimprovera». G. Marangoni, Note critiche sulla Esposizione Internazionale d’Arte in Venezia: arte italiana: romani, toscani e triestini, in “Natura ed Arte”, 1910, n. 15, pp. 150-151.
    10 «[…] una sicura conoscenza degli effetti del colore nella luce è nei Caricatori di carbone che Pietro Mengarini ha dipinti con quella sua tecnica cosi acutamente analitica» (A. Colasanti, Le esposizioni di belle arti a Roma. La mostra della Società Amatori e Cultori – La Secessione, in “Emporium”, 1913, vol. XXXVII, p. 438).
    11 G. Marangoni, Esposizioni romane: dalla “Secessione” alla “Probitas”, in “La cultura moderna”, 1914, p. 799 (ripr. p. 803)
    12 A. Lancellotti, Cronachetta artistica. La 86a Esposizione degli Amatori e Cultori a Roma, in “Emporium”, 1917, vol. XLV, p. 372.
    13 L’Aube du XXe Siecle de Renoir a Chagall, Gineva 1968, vol I, p. 62.

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    Pittura aristocratica e raffinata, condotta sopra una gamma ristrettissima di toni, e di contrasti, uno sforzo di virtù pittorica che rasenta senza toccarli, beninteso, la virtuosità ed il saggio di bravura. Basterebbe una pennellata volgare ed eccessiva per guastare tutto l’effetto del quadro. Ma il Mengarini con una padronanza squisita della misura, si mantiene in carattere ed evita anche quell’eccesso di biaccosità che a torto da qualcuno gli si rimprovera». (G. Marangoni, 1910)

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