OPERA DISPONIBILE
OPERA DISPONIBILE

Filipp Maljavin

(Kazanka 1869 – Nice 1940)

Testa – Lo scialle verde (1931)

Misure: 55 x 45 cm

Tecnica: olio su tela

Esposizioni: Milano, Casa d’Artisti, Mostra personale di Philippe Maliavine, 1931, n. 19.

Note: al retro, cartiglio della Casa d’Artisti di Milano, “n. 19 Testa”

Artista proveniente dal remoto villaggio di Kazanka in Russia, Philippe Maliavine, è il più significativo innovatore della pittura russa di inizio Novecento, attraverso una «ardimentosa spavalderia antitradizionalistica che ha suscitato indignazioni del ceto accademico in patria e all’estero»[1]. Colorista sapiente, interprete di una pittura energica e di ampio respiro, dalle note cromatiche accese e vibranti, ha esplorato la cultura russa in tutte le sue sfaccettature, da quelle più intime e domestiche a quelle più esplicitamente folkloriche. Abilissimo ritrattista della società urbana dell’epoca, pittore alla moda stimato e richiesto a San Pietroburgo, nasce nel 1869 da una famiglia di contadini. Intorno ai quattordici anni inizia la sua parabola artistica quando decide di partire per la Grecia per formarsi come pittore di icone presso i monasteri del Monte Athos.

Con molti sacrifici e con il supporto economico di alcuni amici riesce a organizzare il viaggio e a raggiungere il Monastero di San Pantaleone, nell’attuale Macedonia, dove inizia ufficialmente la sua formazione. La solerzia e lo studio gli permettono di trasformarsi ben presto in un pittore di icone, ma inizia anche a eseguire con dinamismo e sensibilità luministica i primi paesaggi, scene del monastero e ritratti dei monaci, che gli affidano anche la decorazione a icone di alcune chiese del complesso monastico. Nel 1891, il ciclo di affreschi viene notato dallo scultore russo Vladimir Beklemishev (1861-1920), che sprona il talentuoso e giovane pittore a rientrare in Russia per frequentare l’Accademia Imperiale di Belle Arti. Entrato in Accademia, diviene allievo del pittore Pavel Chistyakov (1832-1919), ma in seguito, dopo la riforma accademica, la tappa fondamentale della sua formazione avviene nello studio del grande Ilya Repin (1844-1930).

Grazie al maestro, Maliavine si affaccia alla grande dimensione delle tele affollate di personaggi e di storie, e allo stesso tempo esegue i primi ritratti dei suoi familiari, in particolare quelli di sua sorella e sua madre, intrisi di un realismo schietto e melanconico. Gradualmente, la pennellata si fa sempre più veloce e meno definita, fino a sfociare in una pittura del tutto personale, fatta di accenti cromatici improvvisi e suggestioni immaginifiche. Il trionfo giunge all’Esposizione Universale di Parigi del 1900, in cui presenta la sua opera più importante, Il riso, che in patria aveva suscitato lo scandalo dei grandi accademici e che ora conquista uno strepitoso successo di critica e di pubblico. Il turbine festoso di vento e natura in cui sono immerse le sorridenti contadine russe così viene rievocato da Vittorio Pica: «Ricordo ancora l’impressione nuova e profonda ricevuta da questo quadro quando lo vidi a Parigi, tanto che, scrivendo della sezione russa, io ebbi a dire che in essa un artista solo, nella foga coloristica, nel sentimento della vita, della luce e del movimento e nell’efficacia espressiva, dimostravasi con la vasta ed originale composizione da lui intitolata Il riso, degno davvero di stare con onore accanto ai grandi maestri della pittura odierna delle grandi nazioni»[2].

Seguono poi altre esposizioni, tra cui diverse edizioni della Biennale di Venezia, dove il pittore esibisce una pittura dai toni sgargianti e dal ritmo incalzante. Nelle più aggiornate riviste d’arte europee Maliavine riceve onori e lodi, mentre in patria il suo linguaggio non viene completamente accettato fino al sopraggiungere del 1917, quando, con la Rivoluzione d’ottobre, si trasferisce a Rjazan e lavora come insegnante all’interno dell’opera di propaganda del governo comunista. In seguito, viene invitato al Cremlino come ritrattista ufficiale dei protagonisti della Rivoluzione. Dopo la Prima guerra mondiale, nel 1922, si trasferisce in Italia con la sua famiglia e partecipa con regolarità a numerose esposizioni tra Milano, Venezia, Roma e Parigi. Nella metà degli anni Venti, si sposta a Nizza.

Questa Testa muliebre di Philippe Maliavine, è stata eseguita con ogni probabilità alla fine del decennio, quando l’autore è all’apice del successo, soprattutto in Italia, esito della sua grande personale tenutasi alla Galleria Bardi di Milano nel 1929, dove era stato ampiamente celebrato dalla critica: «… la pittura impetuosa di questo istintivo russo pareva sboccar nella vetrina di Bardi come un grido eccitato. E nessuno ha saputo ritirarsi al suo accento di gioconda aggressione»[3]. Soltanto due anni dopo, nel novembre del 1931, il pittore torna a Milano con una seconda personale alla Casa d’Artisti in via Manzoni. Tra le altre opere in mostra compare proprio la Testa di donna russa – che al retro conserva il cartiglio d’esposizione con n. 19 e il titolo, e che mantiene lo stesso ductus pittorico veloce, sintetico, brillante, lo stesso sfondo a campiture ampie di molti ritratti coevi e anche dell’Autoritratto esposto alla Galleria Bardi nel 1929. La stessa vitalità di cui parla ancora Pica, di quelle «contadine russe, vestite di abiti dalle tinte calde, tratteggiate con nervosa ed insieme sicura franchezza, di gustosissima pastosità e di squisita armonia di colori, in cui sfoggiava, ancora una volta, per la maggiore gioia delle nostre pupille, tutta l’esultante virtuosità del suo pennello»[4].

Anche questa personale, come la precedente, riscuote un notevole successo. Vincenzo Bucci, in un articolo comparso sul “Corriere della Sera” del 25 novembre 1931, pubblica un’entusiastica recensione della mostra, in cui esalta gli «oli, le tempere, i disegni di Filippo Maliavine in Casa d’Artisti […] che cantano la stess’aria, con gli stessi barbarici scoppi di voce, con la stessa gloriosa pienezza di gioventù». E poi ancora in conclusione: «Ma che freschezza sempre e quante virtù di colorista in queste variazioni, fra le quali nuove ricerche di tecnica s’alternano con la maniera più nota…»[5].

 

Elena Lago

 

[1] V. Pica, Philippe Maliavine, estratto di una prefazione del 1929 inserita nel catalogo della mostra (Roma, La Camerata degli Artisti, 15 febbraio – 1 marzo 1932), p. 3.

[2] Ivi, p. 4.

[3] R. Giolli, Cronache milanesi. Esposizioni d’Arte, “Emporium”, LXIX, 412, 1929, pp. 245-246.

[4] V. Pica, Philippe Maliavine, estratto di una prefazione del 1929 inserita nel catalogo della mostra (Roma, La Camerata degli Artisti, 15 febbraio – 1 marzo 1932), p. 5.

[5] V. Bucci, Cronache d’Arte – Filippo Maliavine, “Corriere della Sera”, 25 novembre 1931.

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