OPERA DISPONIBILE
OPERA DISPONIBILE

Giulio Aristide Sartorio

(Roma 1860 - 1932)

Cavallo di carriera (1903 c.)

Misure: 59 x 155 cm

Tecnica: carboncino su carta

Firmato in basso a destra: “G. A. Sartorio Roma”

Sul retro:
cartiglio con etichetta Biennale di Venezia, 1903

Esposizioni: V Esposizione Internazionale d’arte della Città di Venezia, 1903

Bibliografia: Esposizione Internazionale d’arte della Città di Venezia, catalogo della mostra, 1903, p. 133, n. 2; Luigi Serra, Giulio Aristide Sartorio. Pittore animalista, Torino, Edizioni d’arte E. Celanza, 1914, Tav. 8; Giulio Aristide
Sartorio 1860-1932, catalogo della mostra a cura di R. Miracco (Roma, Chiostro del Bramante, 24 marzo – 11 giugno 2006), Roma, Maschietto Editore/Mandragora, 2006, p. 301 (illustrato).

Provenienza: collezione privata

Protagonista tra i più rilevanti dell’arte italiana tra Ottocento e Novecento, Giulio Aristide Sartorio è stato pittore, scultore, scrittore e regista cinematografico. Tra i primi in Italia a percepire le influenze della pittura straniera, sia inglese che tedesca, riuscì a far evolvere la pittura italiana portandola ad un livello internazionale. È stato il massimo interprete della decorazione monumentale ufficiale italiana, sancita dal capolavoro del fregio per la Nuova Ala del Parlamento, che impegnò l’artista dal 1908 al 1912, in collaborazione con l’architetto Ernesto Basile che chirmò Sartorio, il “proprio artista di fiducia”.

Questo disegno, esposto alla Biennale di Venezia del 1903, raffigura un cavallo in carriera e si inquadra nella ricerca sugli animali e il loro movimento iniziata sin dal 1890, con i primi studi a pastello di animali e paesaggio, sia nella campagna romana (Ninfa, Albano) sia in Abruzzo (al seguito dell’amico pittore Michetti a Francavilla al Mare), e continuata fino 1930, quando viene nominato, insieme ad Arturo Berlingeri, vice presidente della Prima mostra nazionale dell’animale nell’arte presso il Giardino zoologico di Roma. Questa mostra, due anni prima della sua morte, è la prima occasione per esporre la sua produzione animalista in pittura, scultura e grafica.

Sartorio riesce a trasmettere la tensione dello sforzo e la potenza dell’animale in corsa attraverso uno studio meticoloso dell’anatomia e del movimento, con l’obiettivo di raffigurare una forza primitiva e incontrollabile, così come aveva fatto con disegni simili di elefanti che sovrastano tigri schiacciate dal loro peso (Lotte regali); leopardi che azzannano cavalli come Mandria sorpresa e soprattutto Cavallo e boa (1900 c., Archivio G. A. Sartorio), in cui un cavallo si ritrae in impennata di fronte ad un serpente nell’atto di attaccarlo (di questo soggetto Sartorio realizzerà anche una fusione in bronzo). L’artista predilige l’immediatezza del gesto grafico per fissare il guizzo di leoni, tigri, pecore e cavalli, e tradurlo negli oli solo in un secondo momento.

Nel caso di questo disegno Sartorio sviluppa il movimento in dimensione orizzontale, in vista dell’elaborazione della sua idea di pittura decorativa monumentale, così come stava sperimentando nei primi anni del Novecento per gli interventi per il padiglione italiano all’Esposizione Internazionale di Saint-Louis (1904), per la sala del Lazio all’Esposizione del Sempione (1906) e per le Biennali di Venezia del 1903 e del 1907. Su proposta di Antonio Fradeletto, segretario generale della Biennale di Venezia, Sartorio accettò nella primavera del 1906 di realizzare un grande ciclo decorativo da collocare nel Salone centrale dell’Esposizione Internazionale del 1907. L’artista aveva ricevuto l’incarico ufficiale di illustrare, sulla base della mitologia antica, il «poema della vita umana». Nelle quattro scene principali – La Luce, Le Tenebre, L’Amore, La Morte – alternate a dieci teleri verticali (dove sono rappresentate la Grazia e l’Arte sorrette dall’energia virile), Sartorio propone una visione intensamente drammatica dell’esistenza, a partire dalla nascita (insidiata dalle forze avverse) fino alla morte (cui però si oppone la sfida dell’ultima figura maschile, un autoritratto, che serenamente interroga, e sembra sfidare, la Sfinge). La complessa iconografia, approvata anche da D’Annunzio, appare come la sintesi tra mondo mediterraneo e cultura nordica, con chiari riferimenti alla concezione dell’eterno ritorno di Nietzsche. In particolare, nel pannello La morte, si nota un gruppo di cavalli in carriera che spunta al disopra del motto “Morte ti spegne e vita si rinnova”. È evidente che le varie figure sono elaborazioni sullo stesso tema di cui questo disegno costituisce uno dei prototipi (il disegno tra l’altro servirà come modello per una piccola scultura (Cavallo in corsa o Cavallo di carriera. Puro sangue ungherese, 1913-14).

L’attenzione per il mondo animale, dagli anni giovanili fino alle più mature visite presso i giardini zoologici inglesi e tedeschi, è connaturata alla necessità di cogliere la forma animale svincolata da qualsiasi attribuzione simbolica e spirituale: “Egli mantiene sempre all’animale il suo peculiare carattere, lo isola da ogni rapporto con l’uomo e spesso anche con la natura, perché, avendolo compreso ed amato, sa ch’esso può interessare così com’è, senza costrizioni e alterazioni, arricchito di una vita più intensa dalla magia dell’arte”[1]. Il cavallo del resto, così come la tigre, è tra gli animali quello che ricorre di più in tutta la sua produzione; un’attenzione che si rivela sin dall’infanzia, così come scrive nella sua biografia “la pelle dell’animale, tremolante sotto le mani, gli comunicava una specie di brivido. Se le labbra umide gli solleticavano la palma della mano, quando gli offriva lo zucchero, sentiva come una felicità penetrargli nel sangue”[2].

Privo di elementi architettonici e risolto in monocromia, il ciclo pittorico si segnala per l’eccezionale dispiegamento di figure. Per portare a termine i 240 m2 dell’opera in soli nove mesi, Sartorio adopera una particolare tecnica pittorica, sufficientemente rapida, che lui stesso descrive: “ho usato una miscela di cera acqua ragia e olio di papavero”. Le quattordici scene, installate per l’inaugurazione della Biennale di Venezia del 1907, rimasero in situ anche per l’edizione successiva (1909).

 

[1]  L. Serra, Giulio Aristide Sartorio. Pittore animalista, Torino, Edizioni d’arte E. Celanza, 1914, p. 12

[2] G. A. Sartorio, La favola di Sansonetto Santapupa, in Giulio Aristide Sartorio. Il realismo plastico tra sentimento ed intelletto, catalogo della mostra a cura di P. A. De Rosa, P. E. Trastulli (Orvieto, Palazzo Coelli, 8 maggio – 18 luglio 2005), Roma, Tipograf, 2005, p. 133

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