OPERA DISPONIBILE
OPERA DISPONIBILE

Mario Segantini

(Milano 1885 – Maloja 1916)

Ritratto di William Ritter (1903)

Misure: 64,5 x 50 cm

Tecnica: olio su tela

Iscrizione: «Finito a Monruz il 12 genaio [sic] 1903»; «Mario Segantini»; «A Madam Ritter et sa famille MSegantini»

Provenienza: Svizzera, collezione privata

 

Ed è sempre nel 1902, tra il dicembre e il gennaio del 1903, con l’investimento diretto da parte di Alberto Grubicy già unico gallerista dell’opera di Giovanni Segantini, che Mario esordisce a Milano all’interno di una rassegna collettiva organizzata dal gallerista presso la sede della locale Permanente. In questa occasione Mario esponeva soltanto acqueforti, Alla Stanga, Temporale in Montagna, Benedizione delle pecore, Ritorno all’ovile e Idillio, tutte derivate da prototipi del padre, e Paesaggio, Cristo e Prometeo di concezione originale e punto di partenza per variazioni pittoriche degli stessi soggetti sviluppate lungo il 1902 e il 1903.[1] Gli ultimi mesi del 1902 rappresentano, per entrambi i fratelli, un momento di sprone alla ricerca – seguendo l’indicazione di Ritter – di nuove occasioni espositive: la Kunstlerhaus di Zurigo, dove i due fratelli sono invitati[2], Budapest dove Mario espone una sua acquaforte[3], i tentativi di Mario di partecipare ai concorsi banditi dall’Internazionale di Venezia del 1903 per la realizzazione della medaglia commemorativa dell’esposizione.

Tentativi che, in particolare dalla fine dell’estate 1902, Mario porta avanti con lena a Berlino, cercando di aprire un canale commerciale con il Salon Keller & Reiner.[4] Nella città prussiana il giovane Segantini si era trasferito, grazie all’ospitalità della famiglia Kempner e Salomon, sul finire di settembre dopo una breve parentesi a Monaco, interrottasi per l’insofferenza nei confronti del mondo artistico monacense. Qui aveva trascorso alcuni mesi, dopo aver lasciato Vienna, ospite di William Ritter che, a seguito della partenza del giovane, scriveva in una lettera a lui indirizzata: «qui tutto mi parla di te e io parlo di te con tutto».[5] È proprio una lettera inviata da Mario da Berlino a Gottardo che permette di leggere in maniera più chiara le vicende che portarono alla realizzazione del Ritratto di William Ritter qui in esame.

«Io so quanto a Maloja sia triste l’autunno. Fui ieri da Kelsing, molto simpatico, ho visto magnifiche stampe a colori su stoffa da una sola lastra. Se intendi fare ancora acqueforti, ti spedisco degli strumenti nuovi che trovo molto buoni. Fui da Keller e Reiner e combinammo un’esposizione collettiva: io lavorerò qui a Berlino, anche tu lavora “a macchina” ai tuoi quadri e forse la faremo per Natale. Ho trovato il mio atelier, se finisci il quadro vieni a portarmelo a Berlino, io devo poi andare a Monaco a fare il ritratto di Ritter (500L), poi a Neuchâtel per i bassorilievi dei Ritter (1000L l’uno). Andai dalla Koenigs ma, scambiandomi forse per Alberto, non si fece trovare, poi invece mi invitò a pranzo. A Lipsia fui trattato molto e fui molto felice».[6]

La presenza di Mario a Monruz-Neuchatel presso la residenza dei Ritter è attestata nel gennaio del 1903: l’11 gennaio il pittore scrive alla madre che da lì si sarebbe spostato a Besançon insieme a William Ritter per il battesimo del di lui figlioccio per poi giungere a Maloja a fine del mese.[7] Il ritratto, verosimilmente impostato a Monaco, alla fine del 1902 durante l’annunciato passaggio in città per la realizzazione dell’opera, venne concluso, come recita l’iscrizione presente sul dipinto, a Monruz dove abitava la famiglia Ritter. Documentano l’elaborazione dell’opera alcune immagini, provenienti dall’archivio Ritter e conservate presso la Bibliothèque publique et universitaire de Neuchâtel, che ritraggono il pittore e il critico dinanzi alla tela non ancora condotta a compimento. Le fotografie scattate nella terrazza della casa dei Ritter a Monruz sono una straordinaria testimonianza del legame intellettuale e affettivo che univa Mario al critico d’arte svizzero.

Mario è ritratto mentre posa dinanzi all’opera con la tavolozza in mano o mentre tiene tra le braccia un vaso con un mazzo di fiori singolarmente simili a quelli presenti del dipinto. Come le immagini permettono di apprezzare, al momento dello scatto l’opera era sostanzialmente completa, mancando soltanto l’incorniciatura dorata con la centinatura avviata ma non portata a termine.

La realizzazione del ritratto si collocava nel momento di maggiore infatuazione di Ritter per l’opera e per la figura di Mario. Un vero e proprio innamoramento che, molto oltre la dinamica da Pigmalione nella costruzione di una personalità artistica, affondava le sue radici in una dimensione omosofica, certo sollecitata dalla figura chiaroscurata di Mario, e pienamente rispondente alle posizioni estetizzanti e al gusto di Ritter.[8] A rendere conto di ciò aiuta la prefazione dedicatoria a Mario Segantini, scritta da Ritter a Monruz il 2 dicembre del 1902, al romanzo Leurs lys et leurs roses pubblicato nel 1903.[9] Nel dedicare l’opera al giovane pittore, Ritter scrive: « Mais dès l’heure insigne de notre initiale rencontre dans les neiges de Maloja n’a- t- il pas été statué que ton nom prêterait le diadème au premier de mes prochains romans destiné à paraître, fût- il de chair, de nerfs et de sang – tout ce que tu méprises – de péché, de honte et de boue – tout ce que tu ignores?». Si istituisce una sorta di specchio riflesso dove Ritter diviene il vecchio, moralmente e umanamente provato, cantore di una estetica maudit – carne, nervi, sangue, peccato e vergogna e fango – contrapposta alla personalità eroica e giovanile di Mario che disprezza ciò che è materia ed ignora ciò che è degradazione morale. L’incontro con Mario, tra le nevi del Maloja, assume un carattere quasi mitico: prima ancora di conoscerlo di persona era avvenuto tramite il dono di un disegno tratto da Un fiore delle Alpi del 1889 da parte di Giovanni Segantini dove il fanciullo aveva le sembianze di Mario.[10] Il dono del romanzo, «de ces lys héraldiques et dérisoires et de ces roses piétinées, macérées et un rien nauséeuses», a fronte delle «roses et les lys de ton éblouissante et fière jeunesse», non è per Ritter che un piccolo segno dinanzi a quanto Mario ha rappresentato per lui con la sua presenza e la sua opera: «Tu penses certes que pas une minute je ne songe par l’offrande de ce vieux péché à me tenir quitte de tout ce que tu as mis à mon intention de vertu, de franchise et de rudesse hautaines , d’arrogance alpestre, de puissance inculte et presque barbare, de clair-obscur, apeurant». A fronte di ciò Ritter si proclama sfortunato, condannato da non avere altro da offire a coloro che ama, come Mario « de la race des Mino, Desiderio et Benedetto», se non « les vieux masques de mon âme» con l’unico intento « de te procurer en attendant quelques heures de pensée une minute de plaisir, l’affection et le dévouement absolus De ton indéfectible admirateur et ami».

La dinamica umana iscritta in queste parole trova piena espressione nel Ritratto licenziato da Mario e concluso il 12 gennaio del 1903. Ritter è ritratto come San Sebastiano, sul fondo del paeaggio di Monruz, col corpo trafitto dalle frecce mentre dalle ferite colano sangue e oro. L’iconografia, perfettamente rientrante nel culto omoerotico di San Sebastiano, sembra anche collegarsi a una evocazione simbolica – il corpo martoriato in ceppi, lo sguardo estatico, i fiori stretti nella mano – del dissidio interiore dello scrittore che dedicando Leur Lys et leurs Roses a Mario affermava come il romanzo fosse il simbolo della sua «résurrection mondaine après tant d’années de silence et d’enfouissement, de rêve et de voyage, de tête- à-tête avec d’autres problèmes que ceux de vaine esthétique extérieure».

A sciogliere ancor meglio il motivo dell’opera, concorre un ritratto litografico di Mario Segantini fatto da William Ritter stesso. Datato al 30 gennaio del 1903, il ritratto è dedicato, sia da Ritter che da Mario, alla sorella dello scrittore Hélène «en remerciement de ses belles photographies», probabilmente quelle scattate a Ritter e Mario a Monruz.

La piccola opera, che ricalca la struttura del ritratto maggiore a partire dalla posa, ritrae Mario, a torso nudo, all’interno dell’abitazione di Monruz. Sulla lapide a destra Ritter scrive: «Mario Segan/tini à l’age de 17 ans et 11 mois. Par son ami William Ritter à Monruz le 26 Janvier 1903. Sancte Raphael cum nobis. Sancte Sebasiane Ora pro nobis».

Nell’estizazzione appare chiaro come Ritter assuma i caratteri del santo martire, della sofferenza del martirio e della salvezza rappresentata dal culto della bellezza, mentre Mario assurge al ruolo di figura angelica nell’identificazione con l’Arcangelo Raffaele, la figura salvifica e guaritrice.

All’interno di questa sequenza si pone un’ulteriore opera di Mario Segantini, il suo Autoritratto realizzato, sicuramente, entro il marzo del 1903, sempre a Monruz.

Durante i mesi della sua permanenza presso i Ritter, che si allungarono fino al febbraio, Mario si invaghì della sorella di William, Joséphine. Rientrato a Monaco, il 29 marzo del 1903, scriveva alla madre Bice: «È molto giusto quello che mi dici ma non temere perché i primi due anni vivremmo tra Monruz e Maloja. A Monruz incomincerò il quadro dei Prometeo, poi il bassorilievo e il ritratto al piano con luce di candela della mia fidanzata. Incredibile la quantità di nemici che abbiamo a Monaco, del resto se non fossimo nessuno, nessuno si occuperebbe di noi. Vonnon non è una ragazza come tutte le altre e saprà sopportare tutte le privazioni di cui tu parli. Ci amiamo molto. Mi occuperò della collezione di quadri del suo babbo con cui si possono fare buoni affari. L’affare Brukmann promette 4’000 marchi. Ho fatto un medaglione per Nounou».[11] Il fidanzamento fu ufficializzato nel giugno dello stesso anno, mentre il matrimonio si svolse nel luglio del 1904.[12] L’unione tra i due, poco felice e costellata dall’instabilità caratteriale di Mario e dalle complesse vicende che caratterizzarono la sua vita dopo il 1904, veniva a cadere in un momento di progressivo raffreddamento dei rapporti con William Ritter causato da incomprensioni legate agli affari.[13]

L’Autoritratto con l’iscrizione «Mario Segantini en sa XVIIme Annee pour son ami William Ritter. Monruz 1903» permette, grazie alla data di nascia del pittore, di fissarne la realizzazione entro il marzo di quell’anno in una immediata vicinanza col Ritratto di Ritter. La medesima ambientazione, la ricorrenza dei temi iconografici, chiariscono come le due opere nascessero come una sorta di dittico, stante anche la perfetta corrispondenza delle misure, composto da due icone moderne giocate sull’intellettualizzata identificazione dei due ritratti: Ritter come San Sebastiano e Mario Segantini come Arcangelo Raffaele.

Il Ritratto di William Ritter costituisce, ad oggi, una delle rare testimonianze delle opere pittoriche di Mario Segantini del quale sono note, principalmente, le acqueforti. Sono proprio le parole di Ritter, nel primo articolo compiutamente dedicato all’opera di Mario e apparso su «La Semaine Littéraire» nell’aprile del 1903, a permettere di evidenziare i caratteri essenziali della sua pittura.[1] L’aspetto più decisivo del linguaggio del giovane Segantini viene indivituato da Ritter nella potenza cromatica, nell’accentuazione delle saturazioni, negli effetti quasi da smalto della pellicola pittorica. Nella stesura del colore, del resto, è perfettamente ravvisabile una decisa tendenza all’evidenziazione materica e alla diversificazione delle stesure, sino alla raschiatura del colore stesso con la punta del pennello. Se questi elementi, indubbiamente, sono da riferirsi ad una meditazione e al recupero di taluni aspetti dell’opera di Giovanni Segantini, il modello della pittura paterna viene rielaborato in maniera autonoma non solo per quel che riguarda l’evidenziazione del segno, dove il tratto si struttura al di fuori di una logica strettamente legata alla tecnica divisionista e più orientata a un decorativismo secessionista, ma anche per la più tipica caratteristica del simbolismo segantiniano nella fusione di naturalismo descrittivo e astrazione simbolica. È Ritter a cogliere l’identità personale di questa tensione quando afferma, a proposito della scultura di Mario Segantini, che nei suoi gessi «le fait réaliste se hausse au symbole et recourt même à la couleur émaillée». Questa capacità di suclassare il dato reale in una sintesi pittorico-disegnativa dove le semplificazioni lineari e le esasperazioni cromatico-materiche, fino all’uso astraente dell’oro, traspongono l’elemento naturalistico entro una dimensione di evocatività, rappresenta la cifra più personale della pittura di Mario Segantini. Ed è a questa aspirazione, e alle sue fonti, che si collega l’esaltazione dell’elemento decorativo.

Rende conto di ciò la ricerca di una essenzializzazione della linea incisa del disegno evidente nel trattamento del corpo di Ritter: il profilo dell’uomo si staglia, in una ricercata diversificazione degli impasti, sul fondo staccato da una linea fluida e continua che sintetizza le forme e restituisce, in maniera grafica, gli stessi dettagli anatomici. L’insistenza sul valore ritmico della linea percorre tutta l’opera: dall’avvolgersi serpentino dei capelli, alle sintetizzazioni cromatico-lineari dei fiori, sino alle gocce di sangue che cadono dalle ferite e che tracciano dei sinuosi percorsi rossi screziati d’oro. È una pittura che nasce e si sviluppa, sia a livello compositivo-iconografico che stilistico, in dialogo con la scultura, laddove, come bene evidenzia Ritter, la plastica segantiniana si rivolge alle purezze quintessenziate, alle politezze superficiali e alle astrazioni grafiche della scultura di Benedetto da Maiano, Desiderio da Settignano e di Mino da Fiesole sulle quale si innestavano le ritmiche lineari proprie della maniera appresa a Vienna nell’atelier di Gurschner. La stessa diversificazione del trattamento pittorico delle parti riproduce la variazione degli effetti di superficie propri dei bassorlievi: agli accumuli materici e alla movimentazioni luministica degli elementi accessori e dei fondi, fa da controcanto la precisione di segno e l’astraente delicatezza di modellato delle figure.

Il Ritratto di William Ritter, sotto questo profilo, rappresenta, insieme all’Autoritratto dello stesso 1903, una delle più significative prove di Mario Segantini nell’affermazione di una indipendenza ed individualità di linguaggio ravvisabile proprio nella circolarità tra pittura e scultura, tra realismo ed astrazione nel recupero dei modelli quattrocenteschi.

Sulla base dei documenti disponibili, il rapporto umano tra William e Mario dovette interrompersi, o modificarsi sostanzialmente negli anni seguenti: i contatti lungo il 1903-1904 si fanno radi sino a scomparire. A ciò dovette, probabilmente, concorrere il progressivo deteriorarsi del rapporto matrimoniale con Joséphine, nonché l’aprirsi di una parentesi vitale personale estremamente complessa. La difficoltà di farsi strata nel mondo artistico, l’insoddisfazione per i risultati raggiunti unita ai pressanti problemi economici che ebbero importanti ricadute anche nel rapporto con la famiglia d’origine in merito alla gestione della non florida eredità paterna, indussero Mario a scelte personali, artistiche e lavorative non sempre oculate. Emblematica è la vicenda del processo e dell’arresto del pittore a Berlino con l’accusa di avere, volontariamente, commercializzato opere proprie come lavori di Giovanni Segantini. L’iter giudiziario, che per il clamore richiamò il caso di Carl Böcklin e fu seguito dai quotidiani europei e statunitensi, si risolse con la condanna al carcere per nove mesi.[2] Un colpo non indifferente per la famiglia Segantini che, pochi anni prima, nel 1904, aveva affrontato la tragedia del suicidio di Alberto, il secondogenito di Giovanni. Commentando i fatti, Gottardo scrive alla madre: «Tu sai che sono sempre stato propenso ad aiutare Mario, a dargli a fatica del denaro che ha sperperato senza alcun giovamento. Quando l’abbandonammo, cadde. Quando il denaro paterno finì incominciò la miseria da cui lo trasse lo sfruttamento contro legge del nome del padre. A noi resta solo il dolore: la legge dalle braccia implacabili e meno benevole di noi gli ha dimostrato che non tutto è permesso. Non se Mario ha capito la gravità del suo operato o se si ritiene un martire della cupidigia dei mercanti, ma il martirio suo era troppo fatto di egoismo per poter scusare l’imbroglio. L’onore nostro non può essere salvato che espellendo Mario dalla famiglia, ma sarebbe un atto meschino: noi possiamo solo lasciare che la legge segua il suo corso regolare. Dopo che avrà scontato la pena, lo aiuteremo».[3]

Come riportano i quotidiani tedeschi, in occasione di questi problemi giudiziari, la condanna di Mario costituiva solo una parte «di una vita avventurosa al di là dei normali termini e confini borghesi». Nel 1907, infatti, Mario aveva trascorso un lungo periodo in America dove si era affermato come boxeur e aveva vinto, in Honduras, una competizione velica durata 20 giorni. Guida alpina, provetto sciatore, al rientro in Europa Mario si era impegnato anche nel commercio di cavalli da corsa: al momento dell’arresto studiava aviazione con il pilota Poulain a Johannistal. La carriera artistica, frattanto, proseguiva declinando pur nel sostegno garantito ancora dalla presenza di Alberto Grubicy che nel 1907 portava a Parigi un suo dipinto, La Vallée de Malenco[4]: l’individualità pittorica definitasi nei primi anni della formazione, forse stimolata dalle suggestioni mediate da Ritter, aveva lasciato il posto ad un rientro nell’alveo di un segantinismo più di maniera.

La morte colse Mario Segantini giovanissimo. Nel maggio del 1915 si era arruolato come volontario nelle squadre dell’aviazione per il fronte: ferito in guerra morì a Maloja nel febbraio del 1916 quando non aveva ancora compiuto trent’anni.

Niccolò D’Agati

[1] W. Ritter, Mario et Gottardo Segantini, «La Semaine Littéraire», 11, 485, 18 avril 1903, pp. 181-185.

[2] Si vedano: Un figlio di Segantini arresto per sospetto di truffa, «Corriere della Sera», 36, 43, 12 febbraio 1911, p. 6; Da Berlino. Mario Segantini condannato per la falsificazione dei quadri paterni, «Corriere della Sera», 36, 184, 5 luglio 1911, p. 6.

[3] KO, Segantini Archiv 4, Faldone 13, lettera A 1270, 9 maggio 1911.

[4] Catalogue du Salon des Peintres Divisionnistes Italiens organisé par la Galerie d’Art A. Grubicy de Milano, Paris 1907.

[1] Galleria d’Arte Moderna di Alberto Grubicy. Catalogo delle esposizioni collettive di G. Previati, E. Gola, L. Conconi, A. Tominetti, C. Fornara, F. Minozzi, C. Maggi, C. Ravasco (scultore), Gottardo e Mario Segantini, G. Martinelli & Co, Milano 1902, pp. 62-64. Per una recensione: A.C., Un’interessante esposizione milanese, «Corriere della Sera», 27, n. 351, 22 dicembre 1902, p. 4.: «Dei due giovani Segantini non vi sono che poche acqueforti, spesso tratte dai quadri del padre loro. Il saggio è scarso per trarre oroscopi sul lavoro avvenire, ma certo la promessa è lusinghiera».

[2] Così scrive Gottardo a Mario, ma lo spoglio dei cataloghi per il 1902-1903 non ha permesso di rintracciare la loro partecipazione. Si veda: KO, Segantini Archiv 4, Faldone 5, lettera A 543, 25 settembre 1902.

[3] Scrive Gottardo a Mario: «Ho ricevuto il catalogo da Budapest, è molto importante, è esposta una sola delle tue due acquaforti, il babbo è presente con un disegno», KO, Segantini Archiv 4 (Faldone 5, lettera A 531), 28 settembre 1902.

[4] Scrive Mario a Gottardo: « l’esposizione con Keller ai primi dell’anno, non ho ancora parlato del contratto ma non sono così minchione da parlarne io per primo, so della Koenigs che lui ci tiene a farlo. I pettegolezzi su di noi credono vengano da un professore dell’accademia che vorrebbe essere nostro maestro, e poi si sono ingigantiti», Ko, Segantini Archiv 4 (Faldone 6, lettera A 592), 12 ottobre 1902. L’esposizione, stando alle lettere tra Gottardo e Mario, si tenne nella primavera del 1903: KO, Segantini Archiv 4, Faldone 6, lettera A 687, 27 gennaio 1903.

[5] OK, Segantini Archiv 4, Faldone 5, lettera A 544, 30 settembre 1902.

[6] KO, Segantini Archiv 4, Faldone 6, lettera A 591, 7 ottobre 1902.

[7] KO, Segantini Archiv 4, Faldone 6, lettera A 689, 11 gennaio 1903.

[8] Come è stato evidenziato, nell’ambito della cultura di fine secolo, « Ritter synthétise de nombreux emblèmes de la subculture homosexuelle telle qu’elle s’est développée depuis la fin du xixe siècle, depuis la musique de Wagner et Mahler au culte pour les images de saint Sébastien», in X. Galmiche, Ce que William Ritter n’a pas appris à Le Corbusier, «Versants», vol. 66, núm. 1, Universität Bern 2019, pp. 7-18 : 15.

[9] W. Ritter, Leurs Lys et leurs Roses. Roma, Société du Mercure de France, Paris 1903, pp. 5-11.

[10] « toi qui as ton premier portrait dans le Frutto d’amore du chef-d’oeuvre dont une variante me fut le premier cadeau de Giovanni Segantini», ivi.

[11] KO, Segantini Archiv 4, Faldone 7, lettera A 738, 29 marzo 1903.

[12] KO, Segantini Archiv 4, Faldone 15, lettera A1482, 3 giugno 1903 e Faldone 9, lettera A978, 3 giugno 1904.

[13] Già nell’aprile del 1903 Mario scriveva a Gottardo «Sono in completa rottura con William, per fortuna che c’è Marcel», KO, Segantini Archiv 4, Faldone 7, lettera A 744, 10 aprile 1903. Nel giugno Ritter scriveva a Mario: «Fate tu i tuoi affari e Gottardo i suoi, ma non coinvolgetemi. Io ci sono solo come amico e per entrambi per questioni d’anima, non d’affari, solo il tempo dirà chi dei due aveva ragione», KO, Segantini Archiv 4, Faldone 7, lettera A 769, 12 giugno 1903.

 

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