OPERA DISPONIBILE
OPERA DISPONIBILE

Pieter van Hanselaere

(Gand 1786 – 1862)

Ritratto di uomo con bambino (1822)

Misure: cm 103 x 77

Tecnica: olio su tela

Provenienza: Roma, collezione privata

 

Ancora oggi la fonte più ricca per le informazioni su Pieter van Hanselaere è il necrologio a firma dell’architetto Pierre-Jacques Goetghebuer comparso sul «Messager des Sciences Historiques, ou Archives des Arts et de la Bibliographie de Belgique» del 1862. Vi si ricorda che il pittore nacque a Gand il 31 luglio 1786, che lì studiò all’Accademia reale con van Huffel, che vinse un primo premio e che nel 1809 si recò a Parigi dove fu tra gli allievi di David. Sebbene già allora si fosse distinto nella pratica del ritratto, nel 1814 vinse un primo premio per la classe di storia con il Sacrificio di Abele che gli permise di visitare l’Italia. Ma vi si poté recare soltanto nel 1816, dopo la caduta dell’Impero, stabilendosi a Roma dove venne nominato membro dell’Accademia di San Luca grazie a Canova.

Nel 1822 si trasferì a Napoli, dove nel mese di marzo fu nominato, come risulta dallo Statuto del Reale Istituto di Belle Arti, professore onorario agli inizi della direzione di Niccolini; nella capitale borbonica, egli sarebbe divenuto il rappresentante del ravvivamento del «fiamminghismo, tendenza mai spenta» (Lorenzetti 1952, p. 220). In seguito alla morte del Berger, avvenuta il 4 luglio 1822, partecipò al concorso per sostituirlo come professore di pittura, assieme ad artisti italiani (Paolo Falciano, Filippo Marsigli, Paolo De Albertis, Andrea Celestino, Giorgio Berti, Giuseppe Cammarano) e a un altro straniero, Joseph Franque, che risultò vincitore il 14 agosto 1823. Van Hanselaere espose soprattutto ritratti, tra cui quello della principessa di Scilla (Maria Felice Alliata?), definito «un vrai chef-d’oeuvre», e quello in piedi del duca d’Ascoli, Troiano Marulli, morto il 19 maggio 1823, giudicato con un fondo rosso monotono e mancante d’aria. E poi presentò tre composizioni storiche, tra cui una Susanna al bagno. Come già menzionato nel «Messager des Sciences et des Arts» (marzo-aprile 1824, dunque quando il pittore era ancora a Napoli), la partecipazione al concorso a cui presero parte artisti napoletani, siciliani, toscani e francesi, gli fece guadagnare il titolo di pittore onorario del re di Napoli, venendo scelto per la realizzazione di un grande quadro destinato alla nuova chiesa della città, evidentemente la Basilica di San Francesco di Paola. Egli rimase a Napoli fino al 1829, quando ritornò a Gand, dove venne nominato con tutti gli onori professore dell’Accademia reale di pittura. E qui morì il 10 marzo 1862.

Ancora tutta da sondare è l’attività ritrattistica che van Hanselaere realizzò a Napoli e che potrebbe costituire a ben ragione una preziosa galleria iconografica e fisiognomica di buona parte della committenza partenopea di quegli anni. Goethghebuer, infatti, ricorda poi altri ritratti eseguiti a Napoli dall’artista, a partire da quelli dei nuovi sovrani Francesco I e Maria Isabella nel 1826, del cavaliere d’Acton a cavallo, di Sir William A’Court, del duca d’Ascoli, del marchese di Ruffo, del principe di Cassaro e del conte Tempère. A questi va aggiunto anche il ritratto del padre di Giacinto Gigante, Gaetano. Costui nel voler evitare la coscrizione militare del figliolo appena diciottenne, tentò di fargli conseguire un premio all’Istituto poiché ciò avrebbe portato all’esenzione dal servizio militare. Dopo la vittoria al concorso sul tema «una casa rurale con cespugli e boscaglie», il suo maestro Anton Pitloo lo presentò al connazionale van Hanselaere che era interessato a comprare il dipinto della vittoria. Giacinto glielo regalò e il pittore si sentì dunque in dovere di realizzare un ritratto del padre Gaetano («Napoli nobilissima», III, 1922, p. 88).

Ma un posto certamente d’onore, nella produzione ritrattistica napoletana dell’artista, merita questo intenso doppio ritratto firmato e datato 1822, dunque proprio l’anno del concorso e perciò tra le primissime opere realizzate a Napoli, e che segue di appena pochi mesi il bellissimo ritratto romano di Niccolò Paganini. Seduto su di una elegante poltrona stile impero dai braccioli a forma di sfinge, l’uomo che guarda l’osservatore indossa un cappotto scuro alla moda, alla cui sommità fuoriesce un collare alto bianco; anche alla moda del tempo è l’acconciatura portata in avanti per attenuare la fronte alta. Gli occhi intensi e la bocca serrata lasciano trasparire un animo fiero ma al contempo malinconico. Egli appare infatti quasi consolato dalla presenza del bambino che gli è accanto e che gli cinge il braccio destro attorno alla schiena, come indica la manina dalla strepitosa resa delle piccole unghie che riflettono la luce. Stessi occhi del papà ma infinitamente più vividi e carichi di curiosità, questa raffinata creatura mostra un visetto vispo degno di un Correggio e un abito con marsina, panciotto e largo colletto candido. Con la mano sinistra regge un libro aperto in favore dell’osservatore, il quale può sbirciarvi agilmente dentro e leggervi il nome di Plutarco. Anzi, di Plutarque.

E proprio questo particolare potrebbe costituire un elemento significativo, se non per il riconoscimento dei personaggi almeno per la loro assegnazione a un preciso ambito. Leggere le Vite parallele o le Opere morali dello scrittore greco vissuto a cavallo tra I e II secolo a.C. costituiva una tappa fondamentale nell’educazione di un giovane di quel tempo e, in particolare, di cultura francese. Tanto che agli inizi dell’Ottocento furono edite versioni ad hoc per i bambini e i ragazzi come Le Plutarque de la jeunesse, ou Abrégé des vies des plus grands hommes de toutes les nations (1804) e Le Plutarque de l’enfance, ou Maximes et traits historiques, extraits des vies des hommes illustres (1812). Il giovinetto raffigurato – colto a riflettere sugli esempi del passato, sulle eroiche e virtuose vite dei grandi personaggi della storia classica, come Giulio Cesare, del quale pare vagamente di individuare il nome sulla pagina destra del libro – è dunque uno dei lettori privilegiati di quel tempo, impegnato a mostrare all’osservatore la sua formazione, pronto a divenire un cittadino dai principi saldi e dalla solida cultura, sotto lo sguardo compiaciuto del proprio padre. È pertanto probabile che sia da ricercare nella cerchia dei francesi a Napoli di quegli anni l’identità dei due personaggi ritratti. E particolarmente suggestiva appare l’ipotesi che l’uomo raffigurato possa essere un artista, un collega di van Hanselaere, e magari proprio quel Joseph Franque che in quel 1822 era impegnato con lui nel concorso per la successione a Berger e che contava allora quarantotto primavere, quante a occhio mostrerebbe l’uomo ritratto.

Chiunque egli sia, è comunque chiaro il messaggio che vuole trasmettere quest’immagine: non solo il ricordo di un rapporto affettuoso tra un padre e un figlio, ma evidentemente la trasmissione di valori e di cultura da una generazione all’altra. Chiunque egli sia, sono comunque visibili gli splendidi valori formali dell’opera, in cui sono messi tutti in evidenza i pregi e le abilità del pittore, la sua cultura fiamminga e davidiana, la capacità di ricreare fedelmente la matericità di stoffe, tessuti e oggetti di legno. Ma qui più che altrove pare di cogliere i sentimenti dei personaggi con una forza espressiva non ugualmente manifestata in altre opere dal pittore, ma certamente almeno nel bell’autoritratto del Rijksmuseum realizzato due anni dopo, sempre a Napoli, e firmato con un laconico ‘par moi’.

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