OPERA NON DISPONIBILE
OPERA NON DISPONIBILE

Alfredo Tominz

(Trieste 1854 - 1936)

La corsa delle bighe al Circo Massimo

Misure: cm. 66 x 201

Tecnica: Olio su tela

Medaglia d’oro all’Esposizione di Praga del 1890; firmato in basso a sinistra “Alfredo Tominz”.

Alfredo Tominz è artista nel sangue: suo nonno, Giuseppe, e suo padre, Augusto, erano pittori, ed egli ha ereditato questa qualità, come si ereditano le stimmate buone o cattive di razza, di una gente, di una famiglia.

Suo nonno fu forse, il più vigoroso e forte ritrattista triestino di quel periodo che si svolge dal 1820 al 1850.

Alcuni suoi ritratti che ho visto qua e colà e un suo autoritratto molto originale – l’autore seduto sul cesso, col «battellone» slacciato, col «castoro» per terra, e con alcuni fogli di giornale in mano, nella più eloquente e natural posa di questo mondo – m’hanno subito dimostrato che, a parte quella particolar durezza tipica dei contorni, propria della scuola classica, il Tominz avo possedeva una straordinaria vigoria di modellazione.

Un suo ritratto di un nano chiozzotto, un ostricaro molto noto allora a Trieste, fu anche esposto alla Mostra del Ritratto italiano a Firenze.

Il padre, Augusto, fu anch’egli buon ritrattista e buon e compositore di quadri a soggetto storico.

Alfredo seguì le orme dell’avo e del padre e studiò a Monaco verso il 1870, non all’Accademia, però, ma nella scuola privata dei tre fratelli Emilio Beno e Francesco Adam che erano pittori di cavalli.

Alfredo Tominz ha sempre prediletto la pittura dei cavalli fin da quando studiava: anzi, suo padre stesso lo «spronò» su questa via ed egli è giunto ad essere un vero specialista di questo genere ippico, dedicandovisi esclusivamente.

In genere, Alfredo Tominz ha esposto poco perchè è sempre o quasi sempre stato quello che, nel gergo artistico, si dice «un pittore venduto».

Infatti per una trentina d’anni, subito dopo il suo ritorno da Monaco, ha lavorato per alcuni negozianti viennesi fra cui l’Abeles e il Winterstein; come Giovanni Segantini ha lavorato per il Grubici di Milano e Antonio Mancini per l’Heinemann di Monaco.

Però tra il ’73 e l’83 espose alcuni suoi lavori all’esposizione che si teneva annualmente nel palazzo del Museo Revoltella, all’esposizione di Torino dell’80 e a quella di Milano dell’87, sempre i suoi soggetti ippici fra cui «Una triga romana» «Una fiera di cavalli» ecc.

Ma, in fondo, questo sacrificio artistico di poter poco esporre e d’essere «un artista venduto» ha finito col giovare abbastanza ad Alfredo Tominz perchè gli ha permesso di essere largamente conosciuto, specie in Austria, in Germania e a Milano, come pittore ippico, tanto che il conte Durini lo invitò molto spesso a ritrattare il cavallo vincitore nelle corse di San Siro ed ebbe, anche, a suo tempo, la proposta da parte del conte Coronini d’essere scelto come pittore della corte viennese.

Incarico, ben inteso, che Alfredo Tominz s’affrettò a rifiutare!

Il suo quadro «Una fiera di cavalli» ch’egli aveva dipinto per il conte Roma, il suo grande mecenate, ottenne alla Mostra d’Arte a Gorizia la medaglia d’argento; e una seconda medaglia d’argento si ebbe, nel 1902, alla Grande Esposizione Artistico-Industriale di Vienna per un suo «Tiro a quattro».

Altri quadri di notevole importanza furono eseguiti per il conte Raffaele Faraggiano di Novara e per il conte Schoenborn di Vienna.

Nel 1883 alla morte del padre, gli successe nell’ufficio di Conservatore del Museo Civico Revoltella, continuando sempre a lavorare con molta passione e a produrre un buon numero di cavalli che andavano a ruba ed emigravano, specialmente in Russia ed in America, e molti quadri in cui si compiacque di rappresentare i varii tipi di carrozze per corse: tilbury, gig, feiton, docar, sulky, ecc.

L’Illustrazione Italiana di quegli anni riprodusse un suo grandioso quadro che rappresentava il ritorno dalle corse all’Ippodromo di Montebello, in cui il pittore s’era compiaciuto di raffigurare quelle personalità cittadine che si dedicavano con passione a questo genere di divertimento, e si vedono, nel quadro: il conte Salvatore Segrè in tilbury, Rodolfo Brunner a cavallo, l’avv. Volpi e la sua celebre cavalla trottatrice «Emma», lo stesso Tominz ed altri.

Dal 1917 fino al ’19 Alfredo Tominz fu internato a Gratz e in quel periodo di dolore e di sofferenze il lavoro assiduo, costante, numeroso, gli servì di conforto e di sostegno.

Poco prima d’essere interessato, aveva fatto per il cav. Artelli un grande guerriero del ‘600 che muoveva all’assalto, sul suo cavallo, e da allora, trascurando un poco il genere dell’ippica sportiva, si dedicò più volentieri ai soggetti di battaglia ed alla rappresentazione di cavalli sbandati e spaventati.

Ora, Alfredo Tominz, si è un poco appartato dal movimento della produzione artistica cittadina e si dedica alla cura diligente del Museo Revoltella.

E s’è appartato, egli mi dice con modestia e con arguzia, perchè ha capito d’aver fatto il suo tempo.

«Io sono diventato antico prima ancora d’essere diventato vecchio».

Non so quanto ci possa essere di vero in questa espressione.

Forse ci può essere un po’ di vero in quello che riguarda il genere ippico sportivo che appartiene, appunto, ad un’epoca che oggi, senza essere ancora nè antica nè vecchia, è forse già superata, a quell’epoca d’influenza francese che si svolse nel decennio tra l’80 e il ’90; ma non credo che per la pittura dei cavalli in genere, l’arte di Alfredo Tominz possa essere già chiamata antica perchè un bel quadro di movimento e di vita può essere sempre apprezzato anche oggi, in cui l’arte moderna ha delle tendenze così nuove, così simboliche, così psicologiche.

Alfredo Tominz è uno specialista in questa pittura ippica: è un maestro, perchè pochi hanno saputo rappresentare i cavalli con tanta forza, con tanta evidenza, con tanta naturalezza, con tanto vivo movimento.

Per questo genere di pittura bisogna che l’artista sappia vedere il cavallo in tutti i suoi movimenti e che se li sappia imprimer bene nella mente con tutto il meraviglioso groviglio anatomico dei nervi e dei muscoli che formano del cavallo una delle più nobili e delle più pure costruzioni anatomiche del mondo animale.

Alfredo Tominz sa bene che il beneficio della fotografia istantanea per la sua arte pittorica si può sfruttare soltanto fino ad un certo punto: la fotografia istantanea riproduce il movimento fulmineamente ed ha un vantaggio sull’occhio dell’uomo: d’essere più cumulativo: ma non basta.

Questo movimento, riprodotto dall’istantanea, non si può riprodurre sulla tela perchè, in fondo, non è un vero e proprio movimento, è, insomma, quello che si potrebbe chiamare «un movimento fermo».

Invece, la pittura ippica di Alfredo Tominz ha precisamente questo merito, d’essere pittura di movimento vivo, vivace, meraviglioso, tanto che l’appunto d’essere fotografia dipinta non gli può assolutamente essere mosso.

I suoi cavalli non sono riprodotti nella tela, come appunto, li riprodurrebbe l’obbiettivo d’una macchina fotografica, con una zampa levata e colta nel momento in cui per il trotto o per il galoppo questa zampa si porta dal basso in alto o dall’alto in basso, ma son riprodotti nella completa pienezza del loro movimento, che dà l’impressione della corsa intera, folle, a spron battuto.

E per quanto la fotografia abbia portato un elemento prezioso nella istantaneità dei movimenti e per quanto le assurde teorie futuristiche si sforzino di voler ingenuamente e strambamente riprodurre il movimento d’un cavallo in corsa rappresentandolo non più con quattro zampe, ma con otto – una specie di espressionismo sintetico-analitico – tuttavia la buona tecnica tradizionale e normale di Alfredo Tominz, quando sia trattata con sapienza e con coscienza, è ancor quella che esprime il movimento nel più sano e nel più vero modo.

Alfredo Tominz ha preferito, nei suoi numerosi quadri ippici, rappresentareil! cavallo pesante, cioè il cavallo irlandese, più che il vero tipo del bel cavallo: l’arabo, perchè l’irlandese è l’animale che porta in sè e rappresenta la forza, la robustezza, lo splendore stesso della razza equina pur partecipando del cavallo orientale.

Il cavallo arabo non è più per noi, per i nostri gusti e le nostre abitudini moderne: sopravvive ancora per le popolazioni dell’oriente per le quali, nomadi e vivaci, ne è il tipo essenziale e per i circhi equestri dove può far magnifica figura quand’è montato da una bella amazzone o da una ballerina dalle forme agili e nervose; ma per l’uomo della civiltà europea il cavallo tipo è ancor sempre e solo quello irlandese, che, del resto, ha la sua origine dallo stesso arabo.

E Alfredo Tominz è giunto ad essere un maestro di questa pittura non solo a traverso lo studio anatomico e movimentistico dell’animale, ma anche a traverso lo studio delle sue razze, delle sue qualità e delle sue caratteristiche.

Alfredo Tominz è, dal 1883, Conservatore del Museo Civico Revoltella al quale ha dedicato ogni sua più affettuosa cura, sopratutto per la parte che riguarda l’ordinamento ci nuovi acquisti di opere.

Gli ha dato, in questi trentasette anni di sua direzione, un nuovo indirizzo tutto fatto di senso moderno e di sentimento italiano: in questo coadiuvato con viva passione da colle eletti spiriti triestini che facevano parte del Curatorio: Giuseppe Caprin e Felice Venezian.

Gli acquisti di Alfredo Tominz per il nostro Museo sono stati fatti quasi tutti alle Biennali di Venezia per dare, in questo modo, una maggior impronta d’italianità al Museo triestino.

Così furono acquistati, fra i molti quadri: «Il ritratto della Principessa Letizia» di Domenico Morelli, «Prime note» di Salvatore Marchesi, «Gli affamati» di Joffroix, e altri lavori di Bartolomeo Bezzi, di Angelo Dall’Oca Bianca, di Giacomo Favretto, di Edoardo Dalbono ecc.

Sopra tutti è celebre il quadro di Lionello Balestrieri: «Bethoven» acquistato a Venezia, ma del quale l’autore aveva già venduto, fin da quando lo aveva esposto a Parigi, nel 1901, tutti i diritti di riproduzione.

Alfredo Tominz vive ora, tranquillo e sereno, nella meravigliose sale di questo palazzo Revoltella, tutto circondato dalla più pura e più santa arte italica: nel tempio dell’arte italica ch’egli seppe, con ardore d’italiano e passione d’artista, costruire a Trieste dominata dall’Austria.

E i ricordi dolorosi del suo internamento gli son quasi una gioia, ora, che al sogno d’arte perseguito per tanti anni s’è aggiunta la realtà della redenzione politica…

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