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Pittore

Alfredo Tominz


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Alfredo Tominz

( Trieste 1854 - 1936 )

Pittore

    Alfredo Tominz

    Nipote del celebre ritrattista Giuseppe e figlio del meno capace Augusto, Alfredo Tominz è da annoverarsfra i migliori pittori della Trieste di fine Ottocento ed inizio Novecento. Vicino, per età, alla generazione dei vari Scomparini, Barison e Lonza, egli fu capace di esprimersi in un linguaggio tutto autonomo che gli derivava da una sorta di monomania per i cavalli.

    Sulla sua formazione presso la famiglia Adam a Monaco di Baviera e, soprattutto, sull’uso sapiente della fotografia si è già scritto, eppure vale la pena sottolineare che rispetto ai colleghi che facevano uso dell’istantanea per obbedire all’ideale del “vero”, nei dipinti di Tominz emerge un dato personalissimo, ovvero i cavalli “vengono riprodotti nella pienezza del loro movimento, che dà l’impressione della corsa intera, folle, a spron battuto”.

    Ma, va ricordato inoltre, che i suoi album giovanili, risalenti al 1865, quando il pittore aveva appena undici anni, contengono già disegni a matita raffiguranti i cavalli. Uno studio così assiduo e, verrebbe da dire “matto e disperatissimo”, lo porta ad un prodotto atipico, unico in quel genere ed, ecco perchè, particolarmente amato da collezionisti anche di trama internazionale oltre, naturalmente, ad essere funestato da falsari ammirati dalla sua tecnica, anche in vita.

    Non stupisce che una firma autorevole come quella di Silvio Benco, ricordando il pittore alla mostra postuma del 1937 scriveva che Alfredo, sul finire del XIX secolo era “il più reputato pittore di cavalli che fosse in Italia”, registrando che “c’era chi tentava di falsificare le sue tele?. Un appeal unico quello del Tominz dei cavalli che ancor oggi colpisce chi osserva le sue tele d’un certo peso.

    Se le opere di piccole dimensioni, infatti, vengono realizzate badando di più al dato atmosferico, destinate com’erano ad invadere il mercato borghese, quelle di più ampio respiro lo mostrano capace di ben altri esiti.

    Una pittura lussureggiante e ariosa, fatta di tocchi e notevolmente sciolta che, partendo da una lezione tenuta sempre ben presente, vale a dire quella settecentesca alla Bison, mescolava un forte sensualismo, mutuato dalle opere di Hans Makart, pittore con il quale Tominz faceva i conti lungo il suo cammino sia di pittore che di conservatore del Museo Revoltella e da Josef Brandt per quel grado di dinamismo solido, sebbene un po’ affannoso, riscontrabile nell’opera fatta acquistare per lo stesso museo nel 1892.

    Ma, al dato tecnico, il sostantivo che non a caso è stato maggiormente utilizzato per Alfredo, è di “regista”, come di chi organizza un autentico set cinematografico piuttosto che una scena pittorica. Ne sono esempi splendidi la Battaglia di Aquileia del 1894, dove il tumulto è protagonista e il dato storico messo finalmente da parte in favore di Unni veramente barbari nel senso più truce del termine, o ancora la più concitata Battaglia dei cavalli della Narodna Galerija di Lubiana del 1893 dove gli animali vengono ripresi frontalmente nel loro incedere galoppante.

    Mancava sino ad oggi l’opera che dava l’avvio a questo modo di dipingere del Tominz dei cavalli su grande formato e che ebbe il merito di farlo conoscere nel contesto europeo; la grande tela è il Circo Massimo del 1890. Già a partire dal 1880 Tominz si cimentò con la raffigurazione di temi romani, assai in voga nella pittura e nella scultura dell’epoca, con la Triga romana che, esposta a Trieste, diede dei risultati di pubblico e critica lusinghieri, tanto che apprendiamo dal Cittadino del 25 novembre: “Ecco là sbuffanti i tre cavalli aggiogati al veicolo che corrono a passo sfrenato sotto un arco trionfale; par di sentirne il calpestio, d’udire i nitriti […] È assai difficile dipingere i cavalli in fuga di fronte e il nostro giovane artista v’è riuscito completamente”.

    Da questo momento in avanti Alfredo non lascerà più i temi ispirati dall’antica Roma. Ma proprio il Circo Massimo gli diede una larga fama; esposto a Praga nel 1890 gli fruttò la medaglia d’oro, commissioni e quell’etichetta che tanto bramava di incontrastato pittore del genere.

    Nella capitale ceca, infatti, Tominz ebbe celebrità, tanto che nel 1902 il principe Kinski che possedeva un’importante collezione, gli acquistò un’altra tela cruciale del suo iter artistico, Tiro a quattro. Proprio dopo il 1890 venne invitato dal principe Coronini a divenire pittore di corte presso gli Asburgo a Vienna; conobbe i reali, realizzò un bel ritratto di Elisabetta a cavallo, ma rifiutò l’offerta.

    La tela esposta a Praga, per una fortunata serie di avvenimenti, non si spostò mai dalla regione e venne acquistata dal celebre collezionista Filippo Artelli per la sua villa nelle campagne goriziane. Il noto commerciante e assicuratore fu amico di Alfredo Tominz e, fatto tutt’altro che secondario, alla Società di Assiucurazioni Marittime si fece immortalare in un buon ritratto proprio dal Tominz.

    Il nome Artelli tuttavia è legato indissolubilmente oggi, a Trieste, allo splendido palazzo che egli fece decorare da tutto il meglio della pittura triestina dell’epoca: vi figurano Wostry, Lonza e Scomparini. Manca proprio un’opera del Tominz dei cavalli e, il Circo Massimo, tema congeniale al collezionista, probabilmente, fu nel palazzo sino alla morte dell’Artelli stesso.

    La tela fu talmente nota quando il Tominz era ancora in vita, che venne illustrata in diversi contributi sull’artista e numerose riviste dell’epoca, dopo di che, come spesso accade, se ne persero le tracce. Non è certo una novità che opere prime di artisti triestini venissero acquistate dai collezionisti della città: ne è un esempio lampante anche il dipinto Quasi oliva speciosa in campis di Giuseppe Barison, creduta dispersa ed invece acquistata dall’architetto Giacomo Zammattio per la sua dimora triestina.

    La bella tela di Tominz, fortunatamente conservata in ottimo stato, presenta ancora la sua cornice d’epoca di chiaro gusto “romano” entro la quale si dipana una scena sfrenata, burrascosa. Un turbinio di polveri e azione invade l’intero spazio nel quale sono isolati nuclei ben distinti dal pittore, che deve aver compiuto, lo si desume da tutta una serie di piccole tele che raffigurano i singoli elementi passate negli ultimi anni nei vari mercati antiquari, degli innumerevoli studi preparatori.

    Si tratta, tutta la scena lo è, di un movimento in curva, dove le bighe scosse con grandi ed enfatici gesti, vengono sbalzate dalla forza centrifuga che tenderebbe a portarle fuori dal dipinto stesso. Tominz, con un colpo da maestro, ci mostra infatti, in primo piano, la ruota di una delle bighe che non ha retto l’imponente corsa.

    Una composizione d’impatto, cinematografica, che fa pensare a Ben Hur, realizzata con un fare largo ma dove si distinguono i singoli tocchi di pennello, qua e là punti ben visibili più che sciabolate repentine, a dimostrazione di una tecnica controcorrente in quel momento, che se tanto piace oggi, nel 1890 deve aver colpito non poco l’attenzione e l’immaginazione del pubblico, immerso e catapultato in una scena da romani della decadenza, come lo era il gusto della fine dell’Ottocento.

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