OPERA NON DISPONIBILE
OPERA NON DISPONIBILE

Anatolio Scifoni

(Firenze 1842 - Roma 1884)

Tepidarium – Terme di Pompei (1878-1880 c.)

Misure: 67 x 55 cm

Tecnica: olio su tela

Firmato in basso a destra: A. Scifoni/Roma

Provenienza: Italia, collezione privata

Bibliografia: Art Prices Current. 1907-1908.  A record of Sales Prices during the Season, vol 1, 1908, p. 276.

Nel 1889 Angelo De Gubernatis[1] elenca tra le opere di Anatolio Scifoni un Tepidarium delle Terme di Pompei acquistato dal mercante parigino Goupil, che nel maggio 1877[2] lo vende al sultano turco Mahmud II insieme a Intérieur Pompéien (Le Gynecée) del francese Gustave Boulanger e a Recompenses (Rewards) del belga Pierre Olivier Joseph Coomans[3]. Scifoni torna ancora su questo tema e un dipinto con questo stesso titolo, e con identiche misure a quello qui commentato, risulta venduto nel 1907 da Christie’s[4], permettendoci di supporre che si tratti dell’opera in esame.

Pompei aveva ben cinque edifici termali pubblici e Scifoni utilizza per la sua rievocazione – citandolo con precisione – il Tepidarium della sezione maschile delle Terme del Foro di Pompei, complesso termale riportato alla luce durante gli scavi borbonici del 1823-1824. L’ambiente è caratterizzato dall’affascinante serie di telamoni in terracotta che suddividono le nicchiette utilizzate per depositare balsami, unguenti e oggetti utili per il bagno, e dagli elaborati stucchi che coprono la volta con partizioni geometriche e figure mitologiche. Su questi ultimi Scifoni interviene, con piglio filologico, per risarcire la porzione mancante basandosi sulle parti ancora in situ, in posizione speculare sul lato opposto, visibili nello stato dell’epoca in un acquerello di Joseph Theodor Hansen del 1884 (fig. 1).

Il Tepidarium era quella parte del percorso termale dedicato alla temperatura moderata e, nella sezione maschile delle Terme del Foro era riscaldata da un grande braciere in bronzo rettangolare, che reca inciso il nome del donatore, il commerciante e industriale Marcus Nigidius Vaccula, di cui nel dipinto di Scifoni si intravede la porzione destra (fig. 2). Scifoni studia con passione l’archeologia romana e le sue frequenti visite a Pompei gli consentono di accumulare materiale di prima mano. È l’artista stesso a raccontare una sua visita nella città vesuviana in un afoso agosto del 1871, durante la quale ha modo di vedere “i cadaveri dei pompeiani sorpresi dalla catastrofe”, frutto della semplice e geniale invenzione dell’archeologo Giuseppe Fiorelli (direttore degli scavi dal 1860 al 1875), che nel 1863 pensa di riempire i vuoti lasciati nella cenere dai corpi con delle colate di gesso (figg. 3, 4). Questa invenzione ha un valore antropologico immenso: ecco che non solo la città, con le sue strade, case, botteghe e suppellettili di ogni genere desta stupore nei viaggiatori, ma anche i suoi abitanti – colti nei loro ultimi istanti, contorti, disperati, senza fiato- tornano ad essere presenza viva e bruciante. Poeti e artisti ne traggono ispirazione, la fantasia corre, diventando così un gioco affascinante immaginare quotidianità, gioie e dolori di quelle donne, uomini e bambini, che appaiono così simili a quelli contemporanei.

Scifoni immagina dunque il momento in cui una donna romana si sposta dall’attiguo Calidarium al Tepidarium, accolta dalle sue ancelle che distendono per lei un ampio e candido lenzuolo: l’ambiente è ricostruito attentamente, arricchendolo con dettagli come la stoffa della tenda, decorata a rombi e greche rossi, o l’abito del giovanissimo attendente, cercando perfino di rispettare una certa patina antica nella resa degli intonaci. La pittura diventa un gioco erudito, un viaggio nel tempo che cerca di ridare nuovo palpito di vita a quei luoghi che la cenere aveva conservato intatti nel loro ultimo istante.

Nel 1861 Domenico Morelli inaugurava il genere neopompeiano in Italia con un ambizioso dipinto ambientato nell’Apodyterium delle Terme Stabiane (Il Bagno pompeiano), sulla scorta di analoghe rievocazioni francesi di gusto letterario, e da quel momento in poi, almeno fino alla fine del secolo, la pittura neopompeiana godrà di indiscusso successo, grazie ad artisti come il francese Jean Léon Gérôme e l’anglo-olandese Lawrence Alma-Tadema.

“Il nome di Alma Tadema viene spontaneo alle labbra dinanzi ai quadri del signor Anatolio Scifoni” scrive Giovanni Camerana commentando la Promotrice torinese del 1869[5], e questa associazione ricorre in molti commenti alle opere dell’artista romano, che indubbiamente guarda con attenzione al modello dell’artista anglo-olandese, folgorato da Pompei durante un viaggio in Italia dei primi anni sessanta. Come lui, artisti, scrittori e viaggiatori stranieri raramente mancano l’occasione di visitare gli scavi vesuviani, mentre – racconta Scifoni-, ben pochi sono gli italiani[6]. Non stupisce, dunque, se i compratori delle sue opere – e, in generale, di quelle degli artisti neopompeiani-, fossero per lo più stranieri, capaci di percepire, di queste scene, anche il risvolto “esotico”.

Eugenia Querci

 

[1] A. De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi. Pittori, scultori e architetti, Successori Le Monnier, Firenze, 1889, p. 461.

[2] Cfr. Goupil Stock Book 8 e 9, Getty Provenance Index, The Getty Research Institute.

[3] M. Roberts, Istanbul exchanges: Ottomans, Orientalists and Nineteenth Century Visual Culture, University of California Press, Oakland, 2015, pp. 97-98.

[4] Art Prices Current. 1907-1908. A record of Sales Prices during the Season, vol 1, 1908, p. 276. Nella stessa stagione di vendite passa in asta anche un Frigidarium di Scifoni, di identiche misure.

[5] G. Camerana, Pubbliche Esposizioni di Belle Arti-Società Promotrice in Torino, in “L’arte in Italia. Rivista mensile di Belle Arti”, 1869, p. 96. Nell’articolo cita Un’offerta agli dei Lari, esposto alla Promotrice torinese del 1868, e Cleopatra giovinetta consulta una maga, presentato a quella del 1869.

[6] Scrive Scifoni che nel libro dei visitatori dell’albergo di Porta Stabiana dove alloggia dal primo agosto 1871 vi sono “nomi di gente di ogni paese, vi figurano diversi francesi, moltissimi tedeschi ma…ben pochi italiani!”.

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