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Pittore

Giannino Marchig


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Giannino Marchig

( Trieste 1897 - Ginevra 1983 )

Pittore

    Giannino Marchig

    Quotazioni di Giannino Marchig

    Oscillano tra i 4.000 euro e i 10.000 euro gli oli di Giannino Marchig risalenti agli anni Trenta. Potrebbero anche raggiungere cifre più alte particolari dipinti ricchi di figure come La vita allegra, che ha raggiunto i 13.500 euro in un’asta del 2003. I bozzetti e i dipinti di piccole dimensioni hanno stime attorno ai 1.000 euro mentre i disegni tra i 200 euro e i 1.500 euro.

    Le quotazioni sono solo indicative perché dipendono da diverse variabili. Contattateci per ottenere una stima precisa e gratuita della vostra opera di Marchig.

    Biografia

    È nato a Trieste ma da diversi anni vive a Firenze. È un autodidatta. Nel 1919 vinse il premio Stibbert. Alcune opere sue sono nella Galleria Nazionale di Roma, nella Galleria di Bologna e nel «Gabinetto Disegni e Stampe» degli Uffizi. È artista coscienzioso e delicato. Ama le tonalità basse e le armonie tenui. Coltiva con provetta capacità tecnica e senso del chiaroscuro anche l’acquaforte. Alla «Primaverile» si presenta con opere più vigorose e di più largo respiro di tutte quelle eseguite per il passato.

    E’ biondo, ha una piccola barbettina alla nazzarena, è magro. M’è parso, quand’egli venne ad aprirmi il cancello del suo studio fiorentino, di trovarmi innanzi il «San Francesco» di Ernesto Biondi ch’io vidi, qualche giorno dopo la morte di questo scultore, nel suo studio in via degli Scipioni a Roma. Un’impressione strana, curiosa, ch’io fermo qui per una sola ragione: perchè essa mi è ancora viva adesso, nella mente, scrivendo di Giannino Marchig e ripensando a quella mattina fiorentina, un poco «piovorna».

    M’è piaciuto subito, di lui, quella serena calma della sua visione artistica e il modo dolce, buono, infantile quasi, con cui mi parlava di sè e della sua arte, delle sue concezioni e dei suoi lavori. Da Trieste egli andò a Firenze con nell’anima l’impronta di diverse tendenze artistiche, sopratutto quel di Bruno Croatto col quale aveva avuto agio di studiare nei primissimi anni. Poi, venne a contatto con gli artisti moderni belgi che trasfusero nel suo animo, già d’altronde preparato per inclinazione, un senso profondo di misticismo un poco mescolato ad una strana vena di umorismo.

    Perchè, in fatti, è questo appunto la caratteristica di quest’arte belga o fiamminga che dir si voglia: dipingere, ad esempio, un interno di chiesa con uno spirito devoto e nello stesso tempo creare scene e figure che hanno del leggermente irrisorio fino al grottesco. Egli non venne a contatto personalmente con gli artisti belgi ma gliene rivelò sopratutto l’opera a Siena, la magnifica collezione d’arte del signor Colucci. E questa conoscenza produsse un grande effetto nell’animo di Giannino Marchig e nell’espressione della sua arte, tanto che da questa conoscenza dello spirito fiammingo moderno egli volle risalire allo studio dei fiamminghi antichi.

    Tuttavia l’animo di Giannino Marchig sentì ben presto il bisogno di liberarsi da questa influenza che gli aveva come fasciata l’anima e resa immobile: e lo fece con un raziocinio degno di un uomo calmo e tranquillo che vuol raggiungere ad ogni costo la mèta del bello, cercando dí abbandonare l’inutile e il superfluo ma solo ritenendo, di quest’influenza fiamminga, quel tanto che si confaceva al suo animo mistico per natura.

    E così entriamo nel secondo momento della sua vita artistica: egli ha trovato nella vita religiosa del duecento e del trecento italico, sopratutto fiorentino, uno spirito di maggiore larghezza, anche nel misticismo dei primitivi, e di più grande distacco delle forme della natura cui tanto tengono anche i più ingenui fiamminghi e parallelamente, il rivelarsi di uno spirito che meglio che umoristico potrebbe dirsi comico realistico nelle favolette e nelle storiette di santi, e che informa gran parte dell’opera dei «raccontatori» che è tanta nell’arte nostra dei primi secoli.

    L’umorismo che Giannino Marchig ne ricavò fu dovuto, anzitutto, al suo medesimo gusto di sentire quell’ingenuità che sola, in fondo – come in Iacopone da Todi – dava a quell’arte un’ aspetto così vivace e comico. Ed egli gira chiese e conventi, avvicina frati e monaci e pezzenti, vive la loro vita, vi si addentra con tutto il desiderio e con tutta la passione, vedendo le cose di questa vita da un lato di particolar comicità larvata da un certo senso di pessimismo.

    E specialmente in un giro per la Toscana di Siena, di S. Geminiano e nel soggiorno al convento di Monte Oliveto Maggiore, dove passò giorni di austera solitudine, il suo spirito sentì completamente e fortemente l’allontanamento da quegli elementi fiamminghi che lo avevano fino ad allora tanto impressionato ed ebbe tutta una profonda rivelazione d’italianità.

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