OPERA DISPONIBILE
OPERA DISPONIBILE

Paolo (Paul) Troubetzkoy

(Intra 1866 - Suna 1938)

Mrs. Hart o Ritratto della pittrice Letitia Hart seduta su uno scoglio (1911)

Misure: 50 x 32 x 45 cm

Tecnica: bronzo

Firmato e datato sulla base: “Paul Troubetzkoy 1911”

Timbro di fonderia: “C. Valsuani Cire Perdue”

Provenienza: Monza, Collezione privata

Esemplare unico

Esposizioni: Chicago, Art Institute, 1912, n. 25; Roma, Prima Esposizione Internazionale d’Arte della Secessione, 1913, n. 71.

Note: all’interno della scultura cartiglio della Secessione romana del 1913 e cartiglio con il nome dell’effigiata “Signora Hart”.

Definito da George Bernard Shaw «the most astonishing sculptor of the modern time»[1], Paul Troubetzkoy, è stato il grande interprete della vita moderna, tradotta in una scultura agile, vibrante, tanto acuta da catturare anche i minimi cambiamenti di una società in piena evoluzione tra Ottocento e Novecento. Famoso per i virtuosistici e intimi ritratti delle élite aristocratiche e borghesi dell’universo cosmopolita in cui agisce, lo scultore ha spaziato prontamente dai monumenti commemorativi alla scultura animalier, dai soggetti muliebri di piccola scala ai ritratti dei grandi personaggi della storia mondiale, da Lev Tolstoj allo zar Alessandro II di Russia a Franklin Delano Roosvelt.

Nato in Italia nel 1866, nel piccolo centro di Intra, sul lago Maggiore, Troubetzkoy vanta una discendenza internazionale: suo padre è un aristocratico e diplomatico russo, sua madre una cantante lirica americana. Il clima culturale in cui cresce è fertilissimo; i suoi genitori, collezionisti e mecenati, accolgono artisti e scrittori, in particolare Daniele Ranzoni, che nella loro villa attraversa una delle stagioni più floride della sua pittura scapigliata e impartisce lezioni di disegno ai piccoli fratelli Troubetzoky. Dopo il trasferimento a Milano nel 1884, il giovane artista amplia la sua cerchia di conoscenze, da Giovanni Segantini a Rembrandt Bugatti. Nonostante i suoi esordi all’Accademia di Brera siano legati alla scultura animalier, cui sarà affezionato per tutto l’arco della vita, la fama dell’artista, che subito si espande da Milano a Parigi, da Chicago a New York a San Pietroburgo, è strettamente connessa alla concezione del ritratto come narrazione di uno status symbol, come affermazione di una società in continua crescita: in America, nel pieno della cosiddetta Gilded Age, i grandi imprenditori iniziano a collezionare opere di illustri artisti europei e contemporaneamente l’Europa della Belle Époque brilla tra balli eleganti e grandi esposizioni artistiche. Troubetzkoy, avvolto nel suo fascino di artista indipendente e alla moda, conquista la fiducia di banchieri, industriali, borghesi in ascesa, in qualità di «acuto studioso della fisionomia umana […] proponendosi non soltanto di ritrarre con rara efficacia l’espressiva mobilità del volto, ma di dare altresì quanto più fosse possibile, l’illusione ottica del movimento»[2]. Queste parole usate da Vittorio Pica su “Emporium” nel 1900 inaugurano il nuovo secolo con immagini suggestive di uno scultore capace di imprimere nelle sue figure uno «strano fremito di vita». Nello stesso anno, quando il conte Robert de Montesquiou – di cui più tardi eseguirà il ritratto – visita l’Esposizione Universale di Parigi, nonostante fosse convinto che la scultura contemporanea non sapesse cogliere il carattere transeunte della vita moderna, poi, elogerà le figure di Troubetzkoy per gli «atteggiamenti singolari al tempo stesso naturali, le espressioni ricercate e insieme vere»[3]. Agli albori del nuovo secolo, il successo dello scultore si irradia da Parigi e raggiunge i vertici delle più grandi esposizioni mondiali. In seguito alla grandiosa riuscita della mostra di Joaquín Sorolla del 1909 presso la Hispanic Society di New York, Troubetzkoy scrive al pittore per chiedere di essere presentato ad Archer Milton Huntington, il celebre studioso, filantropo e mecenate, fondatore della Società. Una spinta non indifferente per lo scultore, che quindi espone alla Hispanic Society tra il febbraio e il marzo del 1911. A questa mostra americana ne seguono molte altre, tutte con il medesimo esplosivo successo di critica e di pubblico, tra cui la personale di ottantasette opere all’Art Institute di Chicago del 1912. È esattamente in questa mostra che per la prima volta compare il ritratto di Mrs. Hart, datato 1911, poi esposto nuovamente alla personale presso la Secessione romana del 1913. Nel Bollettino della Proprietà Intellettuale del 1914, compare la descrizione della scultura «raffigurante la detta signora, seduta su uno scoglio». Una dama moderna, una visione rapida ed elegante di una donna seduta in una posa spontanea con le braccia raccolte in grembo, il volto appena abbozzato. Il tutto avvolto da un modellato sapiente, dal bronzo irregolare e mosso che mantiene puntualmente impresso su di sé il gesto della stecca sulla creta, con sporgenze più ruvide o più levigate per accogliere la luce. Come in altre figure sedute, tra cui la Baronessa Robert de Rothschild dello stesso anno, lo scultore non predilige un unico punto di vista, ma molteplici, accentuando l’aspetto frastagliato dello scoglio e la fusione tra soggetto e atmosfera.

Il riflesso di un pensiero balena nel volto assorto della donna, nella perfetta unione «indefinibile di verità e idealizzazione»[4] di cui parla Diego Angeli nella recensione della personale di Troubetzkoy alla Secessione. L’identità di questa esile ed elegante figura muliebre, la Signora Hart – nome indicato anche nel cartiglio all’interno dell’opera – sembra corrispondere a quella della pittrice e illustratrice americana Letitia Hart, figlia del pittore membro della Hudson River School James McDougal Hart, famoso per i luminosi paesaggi lacustri e per i cosiddetti cattle paintings. Allieva del padre alla Brooklyn Academy of Design, divide il suo studio newyorkese con la sorella, come lei pittrice e illustratrice, Mary Theresa, all’11 East della 14th Street fino al 1914: «Mi considero una pioniera di questo lavoro […] ricordo che ero l’unica donna in questo edificio. Adesso ce ne sono una dozzina o più, per non parlare delle migliaia che sono sparse in diverse parti della città e che studiano nelle varie scuole d’arte»[1]. I suoi dipinti di genere ambientati in piacevoli interni aristocratici, popolati da donne occupate nelle più disparate attività, dalla conversazione alla lettura alla pittura, hanno fatto il giro delle più importanti esposizioni degli Stati Uniti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. È verosimile che Troubetzkoy, nel suo primo soggiorno newyorkese del 1911, «succedersi frenetico di mostre e di ritratti, viaggi, incontri»[2], abbia conosciuto la pittrice Hart e l’abbia omaggiata di un ritratto seduta su uno scoglio, riferimento plausibile al suo forte legame con la casa di famiglia in campagna a Lakeville, nel Connecticut, sulle rive del lago Wononskopomuc, spesso presente nelle opere paterne.

Un delicato ritratto d’artista dunque, modellato in America nel 1911 e fuso a cera persa nella rinomata fonderia parigina Valsuani, testimonianza dei legami di Troubetzkoy non solo col mondo dell’alta borghesia imprenditoriale americana, ma anche con il milieu artistico femminile e maschile di una New York in continua crescita, città che di lì a poco lo accoglierà allo scoppio della Prima guerra mondiale.

 

Elena Lago

 

[1] Intervista rilasciata da Letitia Hart per l’articolo A Woman who paints Women, “Metropolitan Magazine”, IX, 1, 1899, p. 162.

[2] J. S. Grioni, Un ritrattista cosmopolita. Precisazioni critiche e biografiche, in Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra a cura di G. Piantoni, P. Venturoli (Verbania Pallanza, Museo del Paesaggio 29 aprile – 20 luglio 1990), Torino, Il Quadrante Edizioni, 1990, p. 228.

Elena Lago

[1] G. B. Shaw, Sculpture by prince Paul Troubetzkoy, catalogo della mostra (Londra, Colnaghi Gallery, dicembre 1931), Londra, P. & D. Colnaghi & Co, 1931, p. 5.

[2] V. Pica, Paolo Troubetzkoy, in “Emporium”, XII, 67, 1900, p. 10.

[3] R. de Montesquiou, Au prince Troubetzkoy, “Les Mondes”, Parigi, giugno 1902.

[4] D. Angeli, La mostra di Paolo Troubetzkoy all’Esposizione di Roma, in «L’Illustrazione italiana», XL, 15, 1913, p. 356.

[5] Intervista rilasciata da Letitia Hart per l’articolo A Woman who paints Women, “Metropolitan Magazine”, IX, 1, 1899, p. 162.

[6] J. S. Grioni, Un ritrattista cosmopolita. Precisazioni critiche e biografiche, in Paolo Troubetzkoy 1866-1938, catalogo della mostra a cura di G. Piantoni, P. Venturoli (Verbania Pallanza, Museo del Paesaggio 29 aprile – 20 luglio 1990), Torino, Il Quadrante Edizioni, 1990, p. 228.

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