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Pittore

Carlo Carrà


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Carlo Carrà

( Quargnento 1881 - Milano 1966 )

Pittore

    Carlo Carrà

    Carlo Carrà nasce a Quargnento, in Piemonte, nel 1881. Si forma nell’ambito della decorazione, prima a Valenza Po e poi all’Accademia di Brera a Milano. Nel 1900, proprio in qualità di decoratore, si reca a Parigi per occuparsi di alcuni padiglioni dell’Esposizione Universale e poi viene chiamato per alcuni lavori anche a Londra.

    Gli esordi divisionisti

    Rientrato a Milano, continua a frequentare l’Accademia seguendo i corsi di Cesare Tallone, ma nel frattempo si fa attrarre dall’ambiente divisionista, stringendo amicizia con Vittore Grubicy de Dragon, con Aroldo Bonzagni e con Gaetano Previati.

    Viene catturato soprattutto dagli accenti simbolisti della poetica divisionista, tanto che appartiene a questo periodo il dipinto I cavalieri dell’Apocalisse. Altri paesaggi realizzati con la tecnica della scomposizione dei colori appaiono nella sua prima personale organizzata presso la Famiglia Artistica di Milano. Notturni con illuminazione artificiale lo assimilano anche alle modalità divisioniste di Boccioni, che conosce proprio negli anni Dieci: risalgono a questa fase tele quali Stazione di Milano e Piazza del Duomo.

    Il Futurismo: la matrice internazionalista e cubista

    Nel 1910 firma il Manifesto della pittura futurista e poi il Manifesto tecnico della pittura futurista e nel 1911 espone uno dei suoi dipinti più marcatamente futuristi, I funerali dell’anarchico Galli. Un insieme di tumultuosi movimenti e linee forza si irradiano da una luce centrale, in una simbiosi tra uomini e città.

    Nel 1912 partecipa a Parigi alla mostra futurista presso la Galleria Bernheim-Jeune e in quest’occasione viene attratto dalla poetica cubista: è questo il motivo che lo fa allontanare dal futurismo puro di Boccioni, per avvicinarsi invece alle tesi di Ardengo Soffici e della fiorentina “Lacerba”. Carrà sperimenta il collage e indirizza il suo futurismo ad un approccio personale, intriso di elementi cubisti ed internazionali. È interessato ai volumi, alla costruzione spaziale e costruttiva tipica del cubismo, che però lo fa avvicinare ben presto anche allo studio dell’antico.

    Il ritorno all’antico: tra Metafisica e “Valori Plastici”

    Nel dopoguerra, ritorna al rigore della spazialità antica, ai volumi solidi e presenti, esprimendo questo interesse nei due scritti Parlata su Giotto e Paolo Uccello costruttore, pubblicati su “La Voce” di Firenze nel 1916. Il dinamismo futurista è ormai lontanissimo: Carrà cerca di obliterare tutto il progresso avanguardistico per tornare al primitivismo italiano, al Trecento, a Giotto, Paolo Uccello e Piero della Francesca.

    Tutto ciò avviene in seno alla Metafisica, con l’incontro con De Chirico, Savinio e De Pisis nel 1917, all’ospedale militare di Ferrara, dove si ritrovano tutti durante la prima guerra mondiale. Risalgono a questa fase L’ovale delle apparizioniPenelopeLa camera incantataSolitudine e La musa metafisica, dipinti concentrati su un forte platonismo, dai contenuti classici e armonici. Ma dopo l’esperienza della metafisica, Carrà si rivolge completamente all’antico: scompaiono gli oggetti misteriosi per far spazio alla rivalutazione dell’arte primitiva, dello spazio prospettico, delle forme solide e geometriche.

    Si avvicina a “Valori Plastici” e realizza Le figlie di Loth e Pino sul mare, manifesti del suo personale ritorno all’ordine, ispirazione per tanti altri artisti. Nel 1922 partecipa alla Fiorentina Primaverile e alla Biennale di Venezia, in cui espone La casa dell’amore e I dioscuri.

    Nel 1926 tiene una collettiva presso la Galleria Pesaro insieme a De Chirico, in cui espone cinquantasette opere, tra cui Il festivalL’amante dell’ingegnereTramonto sui monti e una cospicua serie di acqueforti. Allo stesso anno appartiene il giottesco dipinto L’attesa, presentato alla Biennale di Venezia. Nel biennio successivo, soggiorna frequentemente a Forte di Marmi, meditando soprattutto sulla nozione di paesaggio, che permea di tratti cézanniani. Alla Biennale di Venezia del 1928 espone i risultati di questi sviluppi, con opere come CapanniMeriggioCavalliOttobre al marePaesaggio toscano e Dopo il tramonto.

    Nel 1931 partecipa alla prima Quadriennale romana con più di trenta opere, non mancando poi a quella del 1935 e del 1939, con opere come Il boveCancello rossoNuotatoriNello studio dello scultoreRagazzo a cavallo. Qui le figure si fanno più monumentali e possenti, molto simili a quelle della pittura murale sironiana: in effetti, nel 1936 fa un intervento murale nel Palazzo della Triennale di Milano e nel Palazzo di Giustizia.

    Negli anni Quaranta, affianca l’attività pittorica a quella di critico, pubblicando numerosi testi tra cui Il rinnovamento delle arti in Italia. Ottiene poi la cattedra di pittura all’Accademia di Brera, e una serie di riconoscimenti come la personale a Londra nel 1960. Muore a Milano nel 1966.

    Elena Lago

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