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Pittore

Pietro Lucano


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Pietro Lucano

( Trieste 1878 - 1972 )

Pittore

    Pietro Lucano

    Piero Lucano non è conosciuto dal pubblico triestino in tutta l’intimità profonda della sua anima e in tutta la vasta complessità della sua produzione multiforme,: lo si conosce solamente o quasi come pittore e proprio in quella sua manifestazione artistica ch’egli ha, se non nascosto o trascurato, certo subordinato allo sviluppo costante di ogni altra sua esperienza o tendenza.

    Egli è, invece, il vero tipo dell’artista italico come noi l’avevamo nel rinascimento in Lorenzo Ghiberti ad esempio e in tanti altri uomini che non soggiacevano a questo o a quell’aspetto dell’arte dedicandovisi unilateralmente e viziosamente, ma che avevano invece dell’arte un concetto unico ed organico che loro permetteva di tramutarsi in precisi istrumenti di bellezza e di trattare con lo stesso amore e la stessa sapienza la pittura, la scultura, l’architettura e ogni altra arte.

    Di questo tipo – classicamente italiano – di artisti si è lagorato e si è perduto lo stampo: Piero Lucano è un esempio di essi, vivente, in questo secolo così lontano e così differente da quel miracolo che è il nostro Rinascimento, e non è certo colpa sua se nella febbrile e caotica produzione moderna il suo contributo di studio, di logica, di amore e di equilibrio si rende esiguo e vano, si disperde come un pugno di sementi gettato sull’enorme impiantito dove la plebe povera e ricca danza intorno alla miseria che le arti e gli artisti vanno orpellando in mille modi.

    Poichè Piero Lucano non è artista da guardarsi con la caramella ma un vero e un indefesso lavoratore del bello che dovrebbe essere presente con le braccia e con lo spirito ovunque un reale bisogno d’arte si facesse sentire, nulla di strano se, in un’epoca dove nulla sfugge allo sfruttamento, un soggetto tanto sfruttabile sia lasciato in pace.

    Egli vorrebbe avere cento braccia, se non per fare, almeno per impedire che si faccia male; vorrebbe che le manifestazioni e le applicazioni d’arte fossero ridotte a un centesimo come quantità ma che quanti promuovono ed amano l’arte fossero cento volte più esigenti.

    E poichè avviene cento volte il contrario egli si strugge nell’elencare gli innumerevoli fenomeni dell’analfabetismo artistico il quale, secondo lui, è universale.

    Nella fusione di tutte le arti egli ravvisa una scienza esatta che potrebbe chiamarsi architettura e che dovrebbe dare a tutti il suo conforto tanto col cucchiaino da caffè quanto con la mole dei grandi edifici pubblici, che dovrebbe trovarsi, e sempre, nella medesima proporzione, tanto in un paio di scarpe che in una fila di case.

    In questo senso egli osserva che i calzolai moderni hanno di gran lunga superato i fabbricatori di case, nientemeno che gli architetti, i quali malgrado il prezioso esempio di tutta l’antichità, continuano ad appiccicare sui muri, che difendono dalle intemperie quattro povere famiglie di pizzicagnoli, gli ornamenti trovati sugli altari bizantini o sui balconi di un principe morto otto secoli fa.

    Tutto ciò non impedisce a Piero Lucano di lavorare e lavorare. A vedere le mappe e i rotoli rigurgitanti di suoi schizzi, disegni, progetti e dettagli si resta sbalorditi.

    E’ una serie interminabile di piani e facciate di edifici, di cartonai per affreschi, per mosaici, per vetrate, di disegni per mobili, ferri battuti, stucchi, pergamene, oggetti artistici d’ogni genere e d’ogni materiale.

    Ma tutto ciò ch’egli ha disegnato con una competenza tecnica insuperabile è stato tradotto in pietra, in mosaico, in metallo, in legno; ed egli stesso ha dipinto a tempera, ad olio, a fresco, a ancanato molte centinaia di metri quadrati d’intonaco.

    Quanti fregi, quanti soffitti, quanti edifici ed ambienti pubblici e privati conservano la carezza della sua mano esperta! Quanti architetti hanno goduto della di lui collaborazione! Piero Lucano conosce e intuisce profondamente tutti gli stili e da essi ricava l’espressione senza mai copiare le forme. Di qualunque stile egli sa comporre un dettaglio che sembra calcato e che invece non è mai esistito.

    Però egli non muta il suo disprezzo pel grossolano abuso che vien fatto, quasi sempre a sproposito, degli stili e, non appena gli è possibile, egli stesso tenta non solo di snaturare uno stile ma di tutti abbandonarli pur di raggiungere un logico compromesso fora la struttura murale dell’ambiente, le ragioni del suo abbellimento e i torti della vita moderna.

    Di ciò m’accorgo osservando qualcuno dei suoi lavori, come il fregio dipinto a fresco per incarico del comune nella basilica di S. Giusto, le facciate del Palazzo Greinitz, il negozio del floricoltore Perotti, il cinematografo «Italia» e quello «Modernissimo».

    Furono gli architetti Berlam e Nordio che scopersero in Piero Lucano un fine decoratore pieno di colore e di armonia antica e insieme a lui completarono un progetto di restauro generale della Basilica, restauro che fu iniziato felicemente nel 1905 e interrotto dopo qualche anno da varia vicende.

    Dovette allora il Lucano apprendere la tecnica dell’affresco levigato copiando pazientemente a Padova e a Verona parecchi grotteschi e vi riuscì nello stille e nella tecnica così perfettamente che i fogliami e i santi dipinti a S. Giusto sono moderni soltanto per chi li ha visti eseguire.

    Ma io non deploro che il restauro sia stato interrotto e non credo che il Lucano, a furia di studiare i grotteschi, avrebbe finito col vedere le cose come le vedevano gli Altichieri e i Davanzo.

    Preferisco del Lucano cose molto più semplici ma tutte sue: le facciate del Palazzo Greinitz (ora sede della Società Adriatica Metalli) della cui bellezza il pubblico non si accorge ammaestrato com’è a commuoversi soltanto nella cappella Sistina o dinanzi all’Altare della Patria o, veramente, soltanto alla vista dei più goffi tritumi decorativi di cui la fantasia teatrale dei costruttori ricopre le case degli strozzini.

    Eppure il palazzo Greinitz, specialmente nella sua parte inferiore, presenta una così armonica, semplice e grandiosa fusione di elementi da ricordare le migliori architetture del Rinascimento, non per alcuna imitazione servile di dettaglio ma per quelle leggi di libertà, di buon senso e di naturalezza che in quelle facciate sono così spontaneamente e felicemente osservate.

    Per vedere qualche mosaico del Lucano bisognerebbe recarsi al cimitero o in qualche chiesa della provincia o in qualche atrio di casa dove egli ha imaginato qualche bel pavimento.

    Ma io mi accontento di guardare, passando, l’originale insegna della Banca Boema che è monito a quanti del prezioso materiale compiono una vera profanazione.

    Non molte sono le vetrate ornamentali o figurative eseguite sui cartoni del Lucano, ma basta vedere le nove figure di santi nelle lunghe finestre ogive della chiesa dei Salesiani per intendere che anche la tecnica del vetro gli è particolarmente famigliare.

    Poche volte, invece, egli trovó qualche ritaglio di tempo per modellare: al concorso per l’ampolla offerta dalla città di Trieste alla tomba di Dante egli, in collaborazione con lo scultore Marin, presentò tre modelli originalissimi pieni di stile e di mistero uno dei quali ebbe il secondo premio e, fuso in argento, riuscì un oggetto raro che venne offerto, da un comitato, al console d’Italia Thaon de Revel.

    Un elenco di tutto ciò che il Lucano ha disegnato e dipinto desterebbe stupore e farebbe chiedere dove egli abbia imparato tante cose: forse alla Scuola di pittura decorativa della Scuola Industriale di Trieste o nei due corsi speciali dell’Accademia di Venezia dove insegnava Ettore Tito e dove ottenne il premio Cavas?

    Non si può negare che le scuole d’arte insegnano moltissime cose a chi già le sa.

    Infatti il Lucano ricorda che da 9 anni disegnava facciate di case nel rapporto di 1:100 che facevano ridere il maestro della terza elementare che mentre frequentava le tecniche esponeva qualche acquarello che veniva notato dalla stampa locale e che mentre frequentava il secondo corso dell’Accademia un suo «Tramonto» veniva ammesso alla III Internazionale di Venezia.

    Alle Internazionali di Venezia, di Monaco di Praga e altrove espose, in seguito, parecchie volte buscandosi qua e là qualche premiuccio e, alla mostra Provinciale Istriana una medaglia d’oro dello Stato.

    Tuttavia egli sostiene di non aver mai fatto un quadro, mentre io ne vedo uno, bellissimo al Museo Revoltella di Trieste, uno alla Galleria Moderna di Venezia e so che il Re ne ha acquistato uno alla Biennale di Brera e che almeno cinquanta sono sparsi nelle case dei suoi concittadini.

    Piero Lucano ama i tramonti, i crepuscoli, le luci notturne, la neve, le nubi e gli alberi strani. Non copia mai dal vero: compone un bozzetto con elementi osservati alla distanza di anni e di chilometri uno dall’altro. Rivedendo il bozzetto si accorge che avrebbe bisogno di altra luce e giù pennellate finchè, se era notte, diventa giorno e, se c’era neve, questa sparisce.

    Ma la nuova luce può rivelargli i difetti che gl’impedivano di concludere, o suggerirgli un tema del tutto nuovo per cui ecco un terzo bozzetto il quale, probabilmente sommato a un quarto ch’egli aveva fatto chissà quanto prima e con tutt’altra intenzione, gli permetterà, forse e dopo varie complicazioni e semplificazioni, di ottenere su una nuova tela il risultato di tante ricerche e divagazioni: uri quadro cioè che se non finirà presto in altre mani ridiventerà uno studio preliminare.

    Piero Lucano non fa parte di nessuno di quei gruppi che terminano in «isti»; egli dipinge come tutti coloro che sanno dipingere. La tecnica, dice egli stesso, fa parte del cervello e mai della tela, sulla quale il pittore ha il torto di vuotare tutto se stesso anzichè la sua parte migliore. Nella selezione, prima delle proprie facoltà e poi degli elementi raccolti per l’espressione, sta tutta l’arte e tutta la tecnica.

    Un pittore quindi deve conoscere se gli convenga dire piccole cose con grandi mezzi o viceversa. In quest’ultimo caso egli sarà un «selezionasti» cioè, tutto quello che può essere un pittore. Aspettiamo dunque e speriamo di poter collocare il Lucano fra i «selezionasti» quando ci avrà avvertiti di aver fatto finalmente un quadro.

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