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Pittore

Serafino Macchiati


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Serafino Macchiati

( Camerino 1861 - Parigi 1916 )

Pittore

    Serafino Macchiati

    Nato nel 1860 a Camerino, ne partì, quando aveva soltanto pochi mesi, per non ritornarvi mai più. Fanciullo e poi giovinetto, seguì la famiglia nelle continue peregrinazioni dall’una all’altra delle piccole città della Romagna, dell’Emilia e del Napoletano, a cui l’obbligava la professione del padre. Giunse finalmente a Roma, dove invece rimase per ben diciotto anni, dove la sua intelligenza si dischiuse un po’ alla volta all’arte e dove si svolse la prima parte, così poco fortunata, della sua carriera di disegnatore e di pittore.

    Al pubblico si presentò assai umilmente, a sedici anni, con bozzetti di cartellini policromi per bottiglie di liquori, graziosamente decorati di fiori e di foglie, eppure fu con essi che ottenne in Italia il suo maggior successo, come egli medesimo confessava, non senza una lieve ombra di melanconica ironia, negli anni di prosperità parigina.

    Questi primi lavoretti di arte decorativa tanto modesta gli procurarono inoltre i mezzi per portare a compimento una piccola scena di monache, dipinta ad olio, la quale, esposta nel 1879 alla Promotrice di Bologna, gli accaparrò le simpatie di un professore della felsinea accademia di belle arti, Luigi Busi, che ottenne che fosse ammesso nella classe del nudo.

    Carattere non solo indipendente, ma insofferente di freni e di guida, il Macchiati non si attardò molto nella compassata e rigida monotonia dei corsi ufficiali di pittura e serbò sempre in appresso, secondo le sue proprie parole, un senso di nausea triste per qualsiasi insegnamento accademico dell’arte.

    A Roma in quei tempi trionfava la mercantile pittura spagnoleggiante dei falsi pezzenti e dei teatrali moschettieri e Serafino Macchiati, non sapendo e non volendo piegarsi ad accarezzare il cattivo gusto del pubblico, si rassegnò a fare dell’illustrazione. Ho detto si rassegnò perché anche a lui sembrava di scendere di uno o forse più gradini nella gerarchia affatto ipotetica dell’arte col disegnare vignette piuttosto che dipingere quadri.

    Sono persuaso che in seguito egli cambiò opinione e si convinse che, specie nell’epoca nostra, in cui ogni anno creansi a migliaia e migliaia statue e quadri, i quali troppo spesso ad altro non servono che a fastidiosamente ingombrare le sale delle periodiche mostre d’arte e che non si sa dove vadano a finire, un volume illustrato con garbo e con senso d’arte non valga di sicuro meno di un buon quadro.

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